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venerdì 27 marzo 2015

Spring break - 4.Philly and back

E giovedì, Philadelphia, la città dell’amore fraterno. Appena arrivata, il tempo di lasciare le valigie in albergo e via all’esplorazione! Il centro della città non è grande, è tutto nel raggio di massimo tre quarti d’ora di camminata a passo di marcia. Prima di esplorare, però, era necessario riempire lo stomaco. Ho pranzato in un diner all’interno del Reading Market, con una classica Philly Cheesesteak. Anche in questo caso sentivo il colesterolo salire, ma ne è valsa veramente la pena.  Nel pomeriggio ho girato l’Indipendence Park, un parco federale dove sono concentrati tutti i posti di importanza per la guerra d’indipendenza. Sono andata a vedere dove abbiamo perso le colonie, con una grande tristezza nel cuore (queen Betty in my heart). Tra le altre cose, ero l’unica persona adulta senza bambini, oddio, oltre a me c’erano magari anche un paio di pedofili. A parte questo e le guide vestite come i ranger dell’orso Yoghi, ho notato che potuto fare altre annotazioni sul modo degli americani di vivere la storia. Sempre per il fatto che ne hanno relativamente poca, sono fissati con i simboli, con gli oggetti, con l’aneddotica spicciola. E quindi viva la Liberty Bell, viva la storia di Betsie Ross, anche se si tratta di una truffa a scopo di lucro, ma lasciamo perdere. Hanno anche un intero museo dedicato alla loro Costutizione, molto bello, molto interattivo, molto MMurican, con un patriottismo quasi da caricatura. Se la sentono caldissima. Ho passato il resto del pomeriggio a vagare per il quartiere vicino al mio albergo, pieno di gallerie d’arte, negozi di vestiti hipster e negozi di libri usati. In uno di questi mi sono rintanata per riposare le gambette stanche, the Book Trader. Si tratta del genere di negozio di libri che risponde proprio all’idea di libreria: scaffali alti fino al soffitto, cunicoli di libri e ogni tanto piccole oasi per leggere. Il genere di libreria che mi aprirei negli anni della pensione se non dovessi essere sufficientemente in salute per viaggiare. Al rientro in albero, in ascensore vengo approcciata da questo sessantenne, che mi invita ad andare al casinò con lui. Tra le varie possibilità che mi si presentano davanti, opto per buttarla in caciara: sorrido e declino graziosamente, adducendo come causa le forti nausee dovute alla gravidanza. Sono stata lasciata in pace.
Il giorno dopo, Philadelphia Museum of Art, con la scalinata di Rocky. Inutile dire che per fare la splendida ho provato a farla di corsa con Eye of the Tiger in cuffia. In cima, invece di sollevare i pugni seguita da bambini, ho sputato il polmone sinistro, lo stomaco e la mia lingua era srotolanta fino a raggiungere la base della scalinata. Nel museo mi sono incantanta, ovviamente, davanti ai Girasoli. Tappa successiva: Franklin Institute. Fighissimo e bellissimo. Molto orientato e rivolto ai bambini, Carmine ci si sarebbe perso per ore. Come del resto ho fatto io, esplorando il cuore gigante, facendo gli esperimenti nella sezione del cervello. La parte più misteriosa è stata lo spettacolo al planetario. Misteriosa perché sono entrata, si sono spente le luci e mi sono svegliata 20 minuti dopo, a spettacolo finito, con il bambino seduto accanto a me che chiedeva alla madre se fossi morta. Sempre camminando, poi, passando per la statua Love, sono arrivata nella zona sud della città, per visitare i Philadelphia’s Magic Garden. La zone sud della città è stata letteralmente colonizzata dagli artisti negli anni ’60, dando una svolta alla vita artistica della città. I magic Garden sono una casa rilevata da Isaiah Zagar, artista, che l’ha resa un’opera d’arte. Decorata con mosaici tridimensionali ricavati da oggetti di risulta, nel cortile ha creato un labirinto multipiano, bellissimo e affascinante, disordinato eppure con un disegno ben preciso.
Paradossalmente Philadelphia mi è piaciuta più di New York, mi è sembrata un po’ più vivibile, un po’ più  misura d’uomo. Questo spring break mi ha dato anche la conferma che mi piace abbastanza viaggiare da sola, con i miei tempi, soffermandomi sulle cose che mi interessano e bypassandone completamente altre.  Camminare con una stordita libertà sapendo di essere padrona del mio tempo, di poter decidere di cenare o saltare il pasto perché sono troppo presa dal vicinato e dai paesaggi. Libera.

Certo, la libertà e il viaggiare da soli non è la perfezione. Tipo che sabato era San Patrizio e io furbona avevo una maglietta verde. No, non avrei dovuto, le uniche persone in verde eran le persone che facevano la bar crawling e che già alle 11.30 erano indecorosamente ubriache. Mi sono beccata un sacco di occhiatacce, anche se ero perfettamente sobria.

E poi di nuovo attraverso i territori Hamish, di nuovo al college. Con la tesi che mi alita sul collo.

Vostra e sciagattante,
Platypus

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