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domenica 2 febbraio 2014

Di pioggia, falchi e ricordi

Ogni tanto, andando all'università, dal finestrino dell'autobus vedo dei falchi. Capita quando la tua università è in mezzo a verdi vallate. In domeniche pomeriggio di pioggia e studio (nelle quali a Pasolini preferirei volentieri dei pisolini), ogni tanto ripenso ai falchi. No, non sono e non sarò mai una fine ornitologa, ma i falchi li so riconoscere dal volo e dalle picchiate. I falchi nella mia mente sono indissolubilmente legati  a Padre. 

Sono sempre stata una ragazzina di città, o meglio, di paesone, quei paesoni grandi e provinciali del barese. Non sono una persona molto legata alla natura, il cemento è sempre stato il mio humus. Gli animali si sono sempre limitati a cani e gatti randagi. Piccioni e qualche raro passero. Da aprile in poi le rondini, ogni anno sempre meno. Per questo motivo gli animali selvatici per me hanno sempre avuto un fascino misterioso. Ero una di quelle bambine piene di enciclopedie illustrate per ragazzi, su tante cose (tipo una sulle mummie, ma da bambina ero un po' strana), ma specialmente sugli animali. 

Chi mi raccontava store sugli animali che vedeva ed incrociava sulla strada verso il lavoro, è sempre stato Padre. Padre lavora vicino ad un aeroporto, la strada che collega il nostro paesone e il luogo dove lui butta l'anima da diciotto anni a questa parte, era fino a qualche anno fa in piena campagna. A sera tornava a casa, o al mattino se aveva la notte, e i raccontava.
-Oggi andando al lavoro ho visto una volpe. 
Ed io e mia sorella lì, con gli occhi grandi come piattini,a chiedergli perché  non si fosse fermato a provare a prenderla per portarcela a casa. Poteva essere una volpe, un tasso, una volta addirittura un istrice, per noi erano animali mitici. 
-E i falchi, li hai visti i falchi?, chiedevamo sempre. I falchi li vedeva ogni giorno, ed erano gli unici animali che riuscissimo a vedere anche noi, ogni tanto, andando in macchina con lui. Si, li aveva visti, li vedeva ogni giorno. E ogni volta noi ci facevamo spiegare come riconoscerli, e passavamo ogni tragitto in macchina con lui a cercare di vederne qualcuno prima di lui, per potergli dire "Un falco!". Allora Padre incassava un po' la testa nelle spalle, teneva un occhio sulla strada e cercava di guardare dal lato dove noi avevamo urlato. Spesso erano delle povere ed ignare gazze e lui ci correggeva, ma quando era veramente un falco, quando era veramente un falco, io e mia sorella eravamo contente, perché eravamo come lui. Anche noi riuscivamo a vedere gli animali selvatici.

Una volta siamo state anche più fortunati. Stavamo tornando a casa da una giornata in un agriturismo. Ai lati della strada campi di grano dorati (lo so che è un'immagine abusata, ma io me la ricordo proprio così). Il sole al tramonto che obliquo accarezzava queste distese di spighe piegate dal vento, qua e là punteggiate da gruppi di papaveri. In macchina io, Madre, Padre, Sorella e una cugina. Ad un certo punto Padre ci dice di guardare a sinistra, veloci, c'era una volpe.  Tre bambine spiaccicate contro il finestrino e la volpe era lì, che scivolava nei campi, sempre più nel fitto. Mia cugina cominciò a piangere perché non l'aveva vista bene, ma io ci ero riuscita: avevo visto una volpe, nel cielo volavano i falchi ed avevo condiviso un altro po' del mondo di Padre. Ero anche contenta che mia cugina non fosse riuscita a vederla: era una cosa nostra, solo della nostra famiglia. Un regalo che Padre aveva fatto a me, a Sorella e Madre.

Stasera la Puglia è lontana, come la mia famiglia. Sorella studia tra le brume meneghine, sicuramente i miei saranno addormentati sulle poltrone Poang davanti alla televisione. Da qualche parte i falchi stanno riparati nei loro nidi. La primavera non mi è mi sembrata così lontana, quel pomeriggio estivo di tanti anni fa sembra appartenere ad un'altra vita.

Una vita nella quale immaginavo questa.

-Ragazze, vedete, un falco. 
-Padre, ma qui siamo in città a Roma.
-Non siamo ancora in città, siamo sul Grande Raccordo Anulare che gira tutt'attorno alla città, stando sempre fuori.
-Quindi qui ci sono i falchi?
-Si, li hai visti, no?
-Uh uh. Padre e questo palazzo cos'è?
-Un'università, la seconda università di Roma.
Avevo sette anni circa. Eravamo a Roma per un week end. Accoccolata sul sedile dell'Honda Civic mi immaginavo studentessa universitaria, pronta a studiare come si fanno i libri. Mi immaginavo in un'università in mezzo a grandi prati verdi.

Stasera piove, vado all'università tra i prati verdi, studio come si fanno i libri e so riconoscere i falchi. 

Vostra sciagattante e nostalgica, 
Platypus

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