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venerdì 28 febbraio 2014

Le lauree

A me le lauree piacciono. Non la mia per carità, la mia è stata il mio personalissimo inferno, ma ingenerale, le lauree altrui mi piacciono. Mi piace l'atmosfera, l'alloro, lo spumane, la proclamazione. Mi piace osservare, vedere, capire. Capire non le tesi, non mi azzardo. Mi sono fatto troppe lauree di ingegneria per fisica per avere la presunzione di seguire una tesi dall'inizio alla fine. No, quello che io voglio capire è la gente, le famiglie.
Oggi per esempio, laurea del mio amico A. ad ingegneria. non ci ho capito un'acca, ma vabbè, ci si fa l'abitudine. Secondo la barbara consuetudine che prima tutti i candidati discutono e poi si rientra tutti, in massa per la proclamazione, in questo momento ero tipo sogliola contro la parete di fondo dell'aula. Davanti a me e alle mie amiche si insinua una nonnina. Ci guarda, ci fa l'occhietto e ci dice: "Sta mio nipote, adesso io mi faccio piccola piccola e striscio avanti per arrivare davanti a tutti. Vi accorgerete di chi è mio nipote, perché io urlo". Il tutto detto con la sicumera di chi è ormai navigato nello scandire il rosario a ritmo di cori da stadio. A un certo punto la signora voleva anche fare partire un po' di pogo selvaggio, ma grazie al cielo si è ricordata di avere una certa età e che noi non l'avremmo seguita col fiato. Ovviamente al momento della proclamazione del nipote ha urlato come faceva probabilmente da ragazzetta ai concerti dei Beatles.


"Mio nipote Ringo s'è laureato in ingegneria!!"

E poi alla fine è uscita di scena camminandoci sulle scarpe, insinuandosi nei varchi tra la gente. Noi lì, incastrate tra il muro e il mondo. Ma è questo il bello, vedere genti strane, farsi due risate ed essere contenti per chi ti sei dovuto sorbire, perché ora aveva l'esame, ora il professore era stronzo, ora non riusciva a dormire per lo stress e fagli la camomilla... queste cose così. Una tappa, andata. 

Andare alle lauree è anche bello per un altro motivo: si rimorchia da morire. Prima della proclamazione, fuori in terrazza con delle amiche, io estraggo il borsellino col drum e mi si avvicina questo tipo carino chiedendo se potesse usufruire. Non bellissimo, carino, di quelli con la faccia da bravo ragazzo. Ci presentiamo, iniziamo a parlare, poi proclamazione, folla, disperso. Più visto. L'universo cospira al mio essere single. 
Mi sono fatta tutti i brindisi e le foto con gli occhi da camaleonte, uno verso l'obbiettivo ed il bicchiere, l'altro che roteava in cerca del tipo. Niente, di niente.
Ma è stata una bella laurea.

Sulla strada del ritorno ho pensato al tipo carino. E al fatto che se la mia vita fosse stata una commedia romantica ci saremmo scontrati l'indomani, in un turbine di fogli bianchi che volano per aria. Ci saremmo riconosciuti, caffè, eccetera, eccetera. Ovviamente se fossimo stati in una commedia romantica nella mia parte ci sarebbe stata Zoey Deschanel e nella sua qualcuno tipo Ryan Gosling. Cose così. Ma io non sono la Deschanel, lui non era Gosling (se così fosse stato l'avrei tampinato ai limiti dello stalker, sia chiaro). 

Poi a casa ho pensato ad una cosa: Spotted! Ma certo! Per chi non ricordasse, le pagine Spotted spopolavano l'anno scorso e servivano per riuscire a rincontrare gente vista per caso all'università e della quale non si sapeva il nome. Ovviamente venivano usate per ragnare nella più bieca delle maniere, perchè siamo umani e in un'età in cui l'ormone non si è ancora stabilizzato.
Mi iscrivo a Spotted di ingegneria e poi vediamo se lo spotto io o mi spotta lui (che poi l neologismo spottare...parliamone. Sembra una malattia). Si, questo atteggiamento si chiama disperazione. Ma era veramente carino e simpatico, a mia discolpa.

Ma sapete che? La pagina Spotted di ingegneria la usano per venderci i libri. 

Gli ingegneri sono persone tristi. Vado a vedermi immagini di gatti su Internet.

Vostra e sciagattante,
Platypus

mercoledì 26 febbraio 2014

Memoir familiari, 1: L'egira

Ci sono poche cose della mia vita che mi pento di aver fatto. Sono poche e trascurabili, tipo i tagli di capelli giusto per, o quelle patatine fritte che stasera avrei potuto evitare. una è un po' meno trascurabile. Per lo meno nell'ottica di Madre, che ad oggi continua a raccontare. A dire il vero è la prima cosa che racconta quando le chiedono di descrivermi caratterialmente.
Madre inarca il sopracciglio, alza la mano con un indice per aria, prende il fiato ed esordisce con:

-A sei anni e mezzo Platypus è scappata di casa. 

Stupore nell'interlocutore, io alzo gli occhi al cielo e lei rassicura sulla veridicità della storia. L'interlocutore mi guarda, preoccupato per l'evidente demenza senile della mia genitrice, io annuisco, gli occhi socchiusi, le spalle alzate. La storia è vera.

-Era febbraio, il compleanno di mio nipote. Erano già le cinque del pomeriggio, avevo Figlia Grande e Nonna influenzate. Facevo avanti e dietro tra la cucina e la camera da letto, mettevo a posto il bucato. Platypus stava facendo i compiti di matematica, aveva appena finito e io le strappai una pagina tutta piena di scarabocchi, dicendole di copiarla in bella e di sbrigarsi che poi dovevamo andare alla festa del cuginetto. Lei alza gli occhi al cielo e dice "In questa casa non si può più vivere". Io mi feci una risata e andai in camera da letto. Mi ricordo che sentii la porta dell'ingresso aprirsi e chiudersi, e che pensai che mia madre, con tutta la febbre, stesse mettendo fuori la busta dell'immondizia. Torno in cucina e trovo mia madre e Figlia Grande sul divano, nella stessa posizione nella quale le avevo lasciate. "E Platypus?", "Non era con te?". Uscii sul pianerottolo, andai a controllare sul terrazzo, chiamai zii, nonni e cugini. Dopo un paio d'ore facemmo la denuncia ai carabinieri, ero devastata. Padre che era in ospedale ad operare tornò, c'era un sacco di gente a cercarla. Era ormai buio.

L'interlocutore a questo punto mi guarda, guarda Madre e chiede se fossi tornata da sola.

-No, la trovò un vicino di casa. Quella notte me la sono messa nel lettone e ho dormito con le gambe sopra di lei, tanto ero terrorizzata. E questo per dirti di che pasta era fatta. Poi, qualche giorno dopo io le chiesi "Ma dove te ne sei andata, così, da sola, col grembiulino e senza giacca?", e lei, questo soldo di cacio, mi guarda, sbuffa e mi dice "Mamma, per cortesia. Non possiamo metterci una pietra sopra?".

A questo punto l'interlocutore di turno si rivolge a me.
-Ma perché lo hai fatto?
-A mia discolpa, ci avevo messo un pomeriggio intero a fare quegli esercizi di matematica e non erano poi così disordinati.

Madre allora, rotea gli occhi ed esclama (sempre, va sempre così)
-Ecco, è con questo tipo di logica che io ho dovuto combattere crescendola.

Mi pento di essere scappata di casa quel pomeriggio. Ma solo per la preoccupazione che diedi ai miei. Ma quella libertà assoluta di camminare, quell'essere un po' fuggiasca e circospetta, anche il leggero freddo sul viso...quello mi è piaciuto. La libertà di scegliere che strada fare.

Che poi, Madre non tiene conto di un paio di cosette... a quattro anni e mezzo lei è scappata ben due volte dall'asilo, una volta con l'aggravante di aver trascinato con sé mia zia, di un anno più piccola. E una volta è scappata dalla colonia elioterapica, a sei anni. 

Evidentemente l'impermeabilità alle regole in età infantile scorre nei geni. E quando glielo ricordo, lei, reprimendo un orgoglio che conosco bene, mi dice:
-Si, ma poi quante ne presi da tua nonna!, ecco, io so che in realtà anche lei non si ricorda tanto della punizione, quanto della libertà assoluta di quei momenti randagi. E capisco che, per quanto sia cosciente che quello che ho fatto io a sei anni e mezzo sia stato folle, ecco, è cosciente che a persone come noi, la libertà piace, piace fin troppo. Sa che, nonostante si lamenti del mio voler viaggiare, partire sempre con qualche nuova iniziativa, non potrei essere altrimenti, perché anche lei se avesse avuto le stesse possibilità, avrebbe fatto le stesse scelte.

Io e Madre siamo molto simili. 

Per sicurezza, però, se mai deciderò di riprodurmi, la mia prole avrà un braccialetto con GPS incorporato. Non si sa mai.

Vostra e sciagattante,

Platypus

lunedì 24 febbraio 2014

Lunedì suini

Ci sono lunedì che cominciano bene. Già al mattino gli uccelli cinguettano, gli autobus passano e la vita potrebbe essere un cartone animato disney. Tutto il mondo potrebbe mettersi a cantare con te la canzone iniziale, quella gioiosa, tipo Bonjour de La bella e la Bestia per intenderci. Ma dato che siamo persone adulte e mature (come se non avessi passato la domenica mattina a vedere Frozen con gli occhi delle dimensioni di un piattino da caffè). diremo che la colonna sonora era I'm Walking on Sunshine. 
No, dai, immaginatelo.

E fino al pomeriggio va incredibilmente tutto bene. Ma così bene che è quasi commovente. La settimana andrà come questo lunedì? Si spera, visto che i miei capelli si sono risvegliati in ordine, a lezione tutto ok. Wow. So much love for the world. 

E poi a metà pomeriggio, sotto forma di rotture di scatole al quadrato, arriva un mega calcio rotante da Chuck Norris.


A questo punto si dovrebbe poter mettere avanti l'orologio e trovarsi magicamente già la sera, a letto, a coccolarsi con antistaminici ed un buon libro, saltando tutte quelle ore di bestemmie sentite e tanto care, pare, a certe categorie di lavoratori. Che avranno fatto di male poi i maiali per avere questa connotazione negativa, ancora non lo si sa. 

Ma alla fine, per cosa me la prendo? Si tratta di un lunedì, quindi ontologicamente di una giornata demmerda. Pare che sia una legge universale, quindi devo solo ringraziare che almeno metà della giornata sia stata illuminata da raggi di sole, belle notizie, progetti e pollini.

Per tutto il resto ci sono Mastercard, le sigarette e i medi di entrambe le mani.

Peace, love e buona settimana, dalla vostra e sciagattante,

Platypus

domenica 23 febbraio 2014

La tragica vita dei falsi estroversi

In un'altra vita sarò un ornitorinco che riesce a parlare. Ma parlare veramente, non blaterare e dire cazzate. Un ornitorinco con la favella e la capacità di usarla di aprirsi. 

Non c'è cosa più brutta che avere tutto un discorso pronto nel petto e poi niente, non riuscire, tenerselo lì, fino a quando le cose non si accumulano, l'una sull'altra, stanno accatastate e c'è un disordine che a confronto le case di "Sepolti in casa" potrebbero finire su una rivista d'arredamento. Non si tratta solo di cose belle, ma anche di cose brutte, tutte lì, aggrovigliate che non si capiscono più. O meglio, in realtà io le capisco, ma non riuscendo a disincastrarle da tutto quello che c'è attorno, non riesco a tirarle fuori. E poi sono gli altri che non capiscono. 

Sono pochissime le persone che sanno di questo mio caos e ogni tanto provano ad aiutarmi a mettere ordine, o sanno che questi sentimenti usciranno, usciranno in altro modo, in maniera scritta, con un'azione, uno sguardo. 

Ci sono persone alle quali voglio tantissimo bene e alle quali vorrei raccontare tante cose, dare tante spiegazioni, riuscire a dire che per me sono importanti e che spero prima o poi di diventarlo anche io per loro. Ma niente, nisba, magari arriva anche l'occasione, ma passa perché io credo non sia quello il momento giusto. E poi, a posteriori, mi volto indietro ed il momento perfetto era proprio quello. E le cose da dire sono ancora lì, belle, chiuse ed inscatolate. 

Non che invece di dire cose significative, io stia in silenzio. No, io parlo, straparlo, del niente e del tutto, cazzate per la maggior parte. Infatti il commento comune delle persone è "Ma quanto parli! Non ti fermi mai?", ed io lì che devo fare, abbozzo, sorrido, dico "No, mai", perché far intravedere alle persone la tua debolezza è male.

Sorrido, sto zitta con la voce di dentro ed emetto arie e suoni gradevoli, come un pappagallino ammaestrato. E se solo la gente sapesse, se solo ci riuscissi più spesso. 

Infatti non è detto che sia sempre così. A volte ci riesco, ma sono imbarazzatissima, le dico tutte d'un fiato. Poi mi sento libera per un po'. fino a quando nuove cose non si accumulano.
E ricomincia il giro.

Avere un mondo dentro e non saperlo raccontare

 Vostra e sciagattante,

Platypus 

venerdì 21 febbraio 2014

Giorni di famiglia

Sono reduce da una settimana in famiglia. Famiglia allargata. Lunedì mattina sono salita su un treno per Milano, dove io, Madre, Padre &Suoceri e cognata di mia sorella, siamo saliti per la laurea del di lei ragazzo. Senza dilungarmi troppo su quanto fossi figa a viaggiare con il mio cappotto lungo e la borsa e la valigia coordinate, è stato tutto molto bello.
Giorni di affetto straripante e coccole indefesse, di imitazioni di accento lombardo e cibo, perché l'alimentazione forzata della prole corrisponde a aMMore. Con l'iscrizione dei miei a Quiz Duello è anche finita la tregua familiare, con Madre e Padre che con aria sdegnosa guardavano me e sorella e sillabavano "Vi abbiamo asfaltato". Avere genitori Ggiovani.

-Madre, la Lombardia è l'unico posto in cui anche i cani sono vestiti meglio di me.
-Non è vero.
-Il fatto che sia appena passato un pincher con un cappottino di montone prova che la tua affermazione è menzognera.

Ma insieme al dolce viene l'amaro, nella forma di una realizzazione, di un eureka che non si era palesato mai. L'illuminazione è arrivata quando mia sorella mi ha lanciato le lenzuola per farmi il letto. Ed eco, che ho capito una cosa, capita a pieno. Non è più la bambina che mi metteva i cerotti sulle ginocchia sbucciate, non siamo più le adolescenti che passavano i pomeriggi estivi a mettersi lo smalto e a guardare Disney Channel e Mtv. Non sono più la prima persona della sua vita, come lei lo è per me. Convive, e adesso il suo piccolo nucleo primario sono lei e il ragazzo. IO sono già famiglia allargata. E se anche leggendo lei negherà, dirà che sono una stupida e sono mie inutili pippe mentali, io so già che è così. E sono felicissima per lei da una parte, ma i cambiamenti mi spaventano. Ma mi intrigano. Tanti mixed feelings.

E poi ripartire. I miei mi hanno lasciato ai tornelli della metro. Non ho pianto.

Sapete il segreto per non farlo? Non voltarsi indietro. L'ultimo saluto è quello che fa stare malissimo.

L'ho imparato in maniera brusca.

Platypus

sabato 15 febbraio 2014

San Valentino senza danni

Anche questo San Valentino è andato, passato in una maniera indolore. 




Certo, sono andata al parco di pomeriggio, ma non ho tirato sassi alle coppiette. Era troppo una bella giornata per sprecarla al commissariato a spiegare che no, non sono l nuovo mostro di Firenze trapiantato a Roma. Dopo giorni di pioggia monsonica, infatti, il sole è tornato e allora perché non vegetare sdraiati su una coperta al parco?



Io e la mia amica D., una coperta rossa e canzoni francesi. No, perché non c'è nulla di più spensierato delle canzoni francesi, che danno a tutto un tono un po' fanè, da commedia francese o da film di Wes Anderson, diciamocelo. E tutto può sembrare possibile e allegro, anche se non si è in un film. In un film il proprietario del barboncino nero che a un certo punto mi ha chiaramente riconosciuto come suo simile, sarebbe stato un simpatico ragazzo tra i venti ed i trenta, si sarebbe scusato e si sarebbe unito a me e a D. sulla coperta. Invece era un imbarazzatissimo cinquantenne. 

Ieri ho anche evitato di abbuffarmi di cioccolata e non una canzone di Adele ha turbato le mie orecchie ed il mio cuore.  E credo di essere stata felice, in una maniera un po' distorta, un po' strana, un po' sciagattante, un po' mia.
E almeno ieri la tristezza ha fatto quello che doveva fare, seguendo il consiglio di queste deliziose signore:

                                 

Vostra e scigattante,
Platypus


giovedì 13 febbraio 2014

Specchi rotti e anni di sfiga

Come se non fosse già abbastanza tragica la giornata di San Valentino domani, il mondo congiura contro di me, che devo avere un karma pessimo.
Stamattina lo specchio appeso in camera mia, ha pensato bene di suicidarsi, gettandosi dalla parete alla quale era appeso. Vetri ovunque. Ma io ero fiduciosa, perché lo specchio non l'ho fatto cadere io (e dovrei essere immune ai sette anni di sfiga) e perché avevo prontamente spazzato via i frammenti di vetro. Bestemmiando, ma prontamente. Se non che, preparandomi per andare a pranzo con un'amica, dopo aver aperto dei collant nuovi, ho incautamente poggiato il piede vestito di nylon per terra, lontano dal punto del crollo. 
Un'unica scheggia era lì per terra. E poi nel mio tallone. Stracciando le calze nuove. 

Ma Platypus non si arrende e lotta, così, incerottato il reale tallone, sono uscita. 
Passeggiando con la mia amica F., siamo state approcciate da uno di quei simpatici ragazzi di colore che vendono libri sull'Africa. 
-Dai, compra un libro!, ci invita suadente, la tua amica [io] sembra africana, con i capelli ricci e con il fisico.

Il fisico.

Il fisico.

Il fisico.

Nella mia mente appare Queenie di American Horror Story.



Che lo so che è afroamericana, ma l'associazione mentale è stata questa. Ho passato il resto della giornata a sbirciarmi nelle vetrine e  casa in quello che resta del mio specchio. 
Domani, giorno di San Valentino, ho cambiato i miei programmi: non più barattolo da mezzo chilo di Haagen Dazs al cioccolato e canzoni di Adele, ma gallette di riso e canzoni di Adele. 


E a proposito dello specchio, mentre scrivo sono collegata con il live dal PD, dove siamo già all'ottava citazione di Frost (La strada meno battuta) eTiziano Terzani ("Come ha detto il concittadino del nostro segretario...")
Mi sa che i sette anni di sfiga toccano al Paese, mica solo a me.

Vostra e sciagattante,
Platypus

lunedì 10 febbraio 2014

Il segno della maturità

Essere in una nuova fase della vita, capire che si è cresciuti, anche se sembra ieri che ho rotto il mio uovo e sono uscita sciagattante nel mondo. 
L'ho capito, finalmente: non sono più un cucciolo di ornitorinco, nè un ornitorinco adolescente. 
Cosa mi ha portato a questa conclusione?
Non il farmi ed appaiarmi l bucato da sola.
Non l'essere in grado di fare pulizie.
Non una laurea triennale.
Non il senso di fastidio dopo una sbronza.
Non l'intenerirmi (poco, ma sempre meglio di niente) davanti a cuccioli di bambini.
Niente di tutto questo.

Quello che mi ha fatto capire di essere cresciuta è stato il non impazzire alla domanda "Ma quindi tua sorella ed il ragazzo con il quale convive sono seri, pensano di sposarsi in futuro?".

Non sono impazzita, ma ho dato una risposta sensata ed articolata. 

Abbattetemi, prima che sia troppo tardi.

Vostra e sciagattante,
Platypus

venerdì 7 febbraio 2014

Storie di ordinario disagio

Telefono con C.
-La sessione abbruttisce.
-La sessione uccide.
-Ho un'afta. 
-Ho problemi di sonno.
-Basta.
-Basta. Prendi la giacca. Andiamo da Tiger. Usciamo altrimenti impazziamo.
-E poi parafarmacia, così io prendo il gel per l'afta.
-Ed io la valeriana.

Per strada, finalmente sole, vento.
-Qui ci sono persone.
-Si.
-Che schifo.

Parafarmacia. Entriamo.
-Ragazze, veramente apriamo alle 4.30...
Io e C. guardiamo la commessa. Lei ci guarda.
-D'altro canto ormai siete qui. Se è urgente...
-Mi serve del gel per l'afta.
-MI serve della valeriana.

Usciamo, con i nostri acquisti.
-C., mi sa che le abbiamo fatto pena.
-Già. Vieni da me che ci facciamo un tè.

Da lei, davanti ad un tè.
-C. mi dai un cucchiaino per girare lo zucchero?
-Tieni. Poi leccalo che se no goccioli ovunque.
- Ma...ma è poco ergonomico da leccare.
C. mi guarda. La guardo. Ci guardiamo.

-La tua amica A. ti deve assolutamente organizzare quegli appuntamenti con i suoi amici. Si vede che non esci con nessuno da una vita.

Vostra e sciagattante,

Platypus

mercoledì 5 febbraio 2014

Non uscire con una ragazza che condivide "Non uscire con una ragazza che viaggia"-Ma seriamente

La mia bacheca Facebook è infestata che manco la casa di American Horror History. Purtroppo non esistono Ghost busters che possano salvarmi dalle ultime cazzate e non virali. Tipo il video di riepilogo dei propri anni di Facebook. Chiaramente a sto giro il caro Zuck ha deciso che gli spiegoni alla fiction Rai gli piacciono tanto e dopo aver ricapitolato il nostro 2013, moriva dalla voglia di farne uno più esteso. Che carino. Ma che simpatico. Come se io volessi veramente sorbirmi tutti gli anni di Facebook delle persone che ho sulla lista degli amici. Stiamo scherzando?



L'altro post che sta infestando la mia bacheca è bello. Molto bello. Lo adoro. E mi fa soffrire il fatto che lo stiano condividendo cani e porci. Si tratta dell'articolo "Non uscire con una ragazza che viaggia". Si tratta di un articolo bellissimo, che parla del tipo di ragazza che vorrei essere e che non sono. Ma ecco: io per lo meno, la decenza di ammettere di non essere quel tipo di ragazza l'ho avuta. 

Non così la maggior parte dei miei contatti Facebook.

Per carità, l'ho visto condiviso anche da ragazze che sono seriamente così, che partono e amen, che non hanno problemi a girare per il mondo da sole e che hanno sempre in borsa uno spray per le punture di zanzara ed un imodium. Capisco perché loro lo abbiano condiviso, dato che le loro bacheche grondano di foto con zaini in spalla, di posti esotici che sulle guide turistiche non trovi. Chapeau, avete trovato il vostro manifesto, io posso solo invidiarvi ed immaginare le mie mille ipotetiche avventure alla Walter Mitty. Profonda stima, grazie di farmi continuare ad avere un minimo di fiducia nel mondo.
Fiducia che torna immediatamente sotto lo zero grazie agli altri. 

Gente che non muove il culo dal paesello neanche se pagati. Che poi sono gli stessi che impostano come città dove vivi New York o Parigi, se hanno velleità modaiole. Gente che avrebbe anche i mezzi per viaggiare ed andarsene, ma vuoi mettere stare a casa con mamma e papà (che nel frattempo sognano di spedirli fuori a pedate nel sedere)? Sono quelle che hanno delle radici che manco i baobab. E poi, le ragazze che viaggiano hanno sempre i capelli scompigliati e scoloriti, ma io vi conosco sapete, so perfettamente che nella vostra routine quotidiana c'è un'oretta di piastra e che anche in vacanza, con i centimetri cubici del bagaglio contati vi portate un baule di trucchi. Lo so. 

Oppure quelle che effettivamente viaggiano, ma evidentemente hanno letto male la parte della ragazza che viaggia che preferisce il viaggio alle discoteche. Perché sono quelle che in viaggio ci vanno con un obiettivo solo e conoscono solo le discoteche. E i bagni delle discoteche, perché dall'Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, di quel securo il papilloma virus, tenea dietro al ballerino di flamenco. E vabbè che secondo Girls "all adventurous girls have one", ma per cortesia, non è una scusa. Come se non si sapesse che rientrate in patria poi vi prodighiate a fare le untrici. Suvvia.

Mi raccomando a leggere bene la parte su come gli appuntamenti convenzionali non piacciano, perché tanto noi lo sappiamo che se non vi si porta al cocktail bar più alla moda sbuffate. E che vivete nel centro commerciale. 

Menzione d'onore la meritano anche i soggetti di sesso maschile che hanno condiviso questo articolo. Soggetti che si dividono in due categorie: i morti di figa che sperano di rendersi interessanti e di ottenere un po' del sacro orifizio(e non lo otterranno), i morti di figa che sperano di rendersi interessati e di ottenere un po' del sacro orifizio (e lo otterranno). Di solito sono gli stessi che fanno le battute sul fatto che il posto delle donne sia in cucina. Un applauso. Uno. Poi sberle. Tante e a coppie, almeno loro.

Io non dico che la gente dovrebbe evitare, ma se evitasse farebbe meglio.

A me è piaciuto tanto, l'articolo. Ma so che non sono e non sarò mai così, che viaggiare si mi piace, ma non è tutto, che non sono fatta per la vita da zingara. Allora l'ho letto, mi è piaciuto ed ho evita di condividerlo o di usare una sua frase come didascalia di una mia foto con valigia Carpisa.

Ho risolto il mio problema chiudendo Facebook. 
Fino alla prossima epidemia.

Vostra sciagattante, pantofolaia, 

Platypus


martedì 4 febbraio 2014

La vita non è un film. Ma manco per scherzo.

Si avvicina San Valentino ed il web si riempie di post su come la vita non sia un film, per riportare sulla terra le aspettative stellari di tante ragazze. O per consolare chi passerà il giorno di San Valentino come la sottoscritta, ovvero abbracciata ad un barattolo di gelato al cioccolato formato famiglia con musica triste a palla, mentre sfoglio foto di gatti su Internet e ne scelgo già nomi. Perché, rimanendo in tema, non è detto che alla fine Darcy si accorga di Bridget Jones. Benvenuti alsaziani, prego, cominciate a straziare le mie carni, ma senza sporcare il tappeto.

Il clichè più classico e romantico è ragazzo insegue/torna indietro da ragazza. O perché si è litigato usando parole emotivamente devastanti, o perché non si è fatto in tempo a dire qualcosa di significativo o per un ultimo bacio. Ok, seriamente, a quanti è mai capitato? Su le mani. E la storia di "è successo ad un'amica di una mia amica", Sex & the city docet, non ce la beviamo. 
Una volta, dopo una lite con l'ex storico, ho passato una notte ad aspettarlo alla finestra, eravamo in vacanza. Non ne vado orgogliosa, ma è successo. Lui era a ballare con gli altri. A quanto pare si è anche divertito, mentre io uggiolavo contro la persiana. L'amavo e bla,bla,bla. 
Ma noi siamo donne liberate, frutto di reggiseni bruciati in piazza e l'utero è mio e me lo gestisco io. Quindi, almeno personalmente, ogni tanto ci provo a fare la parte dell'uomo e a correre dietro al malcapitato di turno. Non dopo le liti. Quando c'è qualcosa di non detto nell'aria o si è stati lì lì per provarci, finalmente, dopo mesi di mi butto o non mi butto. Nella mia testa era una scena da film perfetta, la mia corsa per il pianerottolo fino alle scale, per dirgli che era lui, nessun altro che lui, lui che mi guardava stupito, rifaceva le scale a quattro a quattro e poi bacio, scena in dissolvenza, titoli di coda. 
Sono arrivata alle scale, mi sono detta "Ma che veramente?", ho girato sui tacchi ed ho passato il resto della serata con la testa sotto il cuscino, maledicendomi per non averci provato. Una settimana dopo ero nella stessa posizione, maledicendomi per averci provato (con conseguente educatissimo due di picche).

Abusatissimo anche il clichè della dichiarazione d'amore improvvisa, magari anche sotto la pioggia, giusto per non farsi mancare niente. Mai avuto dichiarazioni d'amore improvvise. Mai. O anche romantiche. Love Actually è colpa tua. No, dai, la scena la conosciamo tutti:


Ecco. L'unica cosa vera di questa scena è che di solito dichiarazioni così vanno a finire male. Ok, sorvolando sul fatto che Keira Knightely lo bacia. Ma rimane col marito. E chi si è visto si è visto. Sorvolerò anche sui miei tentativi di dichiarazioni d'amore plateali. Vi dico solo che i miei cartelli erano in disordine e non è che si capisse molto. Il fanciulletto in questione non ci capì molto, ma avevo quindici anni ed una terza di reggiseno, quindi nel dubbio BOOBS. 
Chi ha capito veramente tutto della dichiarazione d'amore sotto la pioggia sono i The Pills:


O gli addii. Quegli addii strapazzoni, no, me ne vado, lacrime negli occhi, Casablanca vaffanculo, suonala ancora. Affrontiamo la dura realtà dei fatti: con Internet non si può più dire addio sempre e pessempre. Alla domanda lanciata nel vento, alla finestra, mentre fuori piove "Chissà dov'è e cosa starà facendo", ci pensa Facebook. O Google. Insomma, una risposta si trova sempre. E WhatsApp è sempre lieto di ricordarci che fino a quando avremo salvato il numero in rubrica, da ubriachi sarà sempre una buona idea mandare un messaggino. No, non lo fate. Posate quel telefono, abbracciatevi alla tazza del gabinetto e aspettate che la sambuca trovi il suo sbocco innaturale dalla vostra bocca. Perché anche se mandate il messaggino, no, non verranno a salvarvi e a dirvi che vi amano, che aspettavano solo che voi li contattaste. No. It's not going to happen.

Poi c'è il mio clichè preferito, quello per il quale ho consumato tipo rotoli di carta igienica (mi dimentico sempre di comprare i fazzoletti da naso, chiedo venia), guardando film su film, serie tv su serie tv, leggendo libri su libri. Gli amici che poi si mettono assieme. Come presidentessa onoraria della Friendzone, vincitrice ogni anno della fascia "Una di noi ragazzi", posso dirvi che è raro. Molto raro. Ma le tensioni erotiche tra migliori amici tengono vive intere stagioni di serie tv, tipo Ross e Rachel, JD e Elliott. Ecco, loro due. Tipo questa scena:


Avete appena visto una cosa rarissima. Aspettative altissime, destinate ad essere deluse. Almeno ogni tanto qualcuno degli autori lo ammette di aver scritto una cavolata. La Rowling, per esempio, che ogni tanto se ne esce con una rivelazione su Harry Potter. Recentemente, in un'intervista rilasciata all'unica, vera ed inimitabile Emma Watson, ha rivelato che non avrebbe dovuto far finire Hermione e Ron insieme. Ok, le sue motivazioni non sono le mie, ma possiamo tranquillamente arrivarci. Insomma, Hermione, bella, intelligente che è da sei anni che frequenta solo la stessa ristretta cerchia di persone, per non parlare di un anno in campeggio solo con due amici, di cui uno già impegnato, ecco, in questa situazione quasi da laboratorio, è ovvio che finisce con Ron (anche perché Harry è lì che sospira pensando a Ginny). Ron sarà anche tanto simpatico, ma mica è alla sua altezza. Insomma, la ragazza è stata con una star internazionale di Quidditch.


Dopo questo post si potrebbe pensare che io sia un'avvilita, acida e destinata ad un futuro da zitella.
Signori, è già pronto un piano fatto di tè in veranda con le amiche, circondata da gatti, libri e buona musica.

E, a proposito di gatti, vi presento quello che chiamerò Elzeviro:


Vostra, sciagattante, disincantata e pronta a buttarla in caciara,

Platypus

domenica 2 febbraio 2014

Di pioggia, falchi e ricordi

Ogni tanto, andando all'università, dal finestrino dell'autobus vedo dei falchi. Capita quando la tua università è in mezzo a verdi vallate. In domeniche pomeriggio di pioggia e studio (nelle quali a Pasolini preferirei volentieri dei pisolini), ogni tanto ripenso ai falchi. No, non sono e non sarò mai una fine ornitologa, ma i falchi li so riconoscere dal volo e dalle picchiate. I falchi nella mia mente sono indissolubilmente legati  a Padre. 

Sono sempre stata una ragazzina di città, o meglio, di paesone, quei paesoni grandi e provinciali del barese. Non sono una persona molto legata alla natura, il cemento è sempre stato il mio humus. Gli animali si sono sempre limitati a cani e gatti randagi. Piccioni e qualche raro passero. Da aprile in poi le rondini, ogni anno sempre meno. Per questo motivo gli animali selvatici per me hanno sempre avuto un fascino misterioso. Ero una di quelle bambine piene di enciclopedie illustrate per ragazzi, su tante cose (tipo una sulle mummie, ma da bambina ero un po' strana), ma specialmente sugli animali. 

Chi mi raccontava store sugli animali che vedeva ed incrociava sulla strada verso il lavoro, è sempre stato Padre. Padre lavora vicino ad un aeroporto, la strada che collega il nostro paesone e il luogo dove lui butta l'anima da diciotto anni a questa parte, era fino a qualche anno fa in piena campagna. A sera tornava a casa, o al mattino se aveva la notte, e i raccontava.
-Oggi andando al lavoro ho visto una volpe. 
Ed io e mia sorella lì, con gli occhi grandi come piattini,a chiedergli perché  non si fosse fermato a provare a prenderla per portarcela a casa. Poteva essere una volpe, un tasso, una volta addirittura un istrice, per noi erano animali mitici. 
-E i falchi, li hai visti i falchi?, chiedevamo sempre. I falchi li vedeva ogni giorno, ed erano gli unici animali che riuscissimo a vedere anche noi, ogni tanto, andando in macchina con lui. Si, li aveva visti, li vedeva ogni giorno. E ogni volta noi ci facevamo spiegare come riconoscerli, e passavamo ogni tragitto in macchina con lui a cercare di vederne qualcuno prima di lui, per potergli dire "Un falco!". Allora Padre incassava un po' la testa nelle spalle, teneva un occhio sulla strada e cercava di guardare dal lato dove noi avevamo urlato. Spesso erano delle povere ed ignare gazze e lui ci correggeva, ma quando era veramente un falco, quando era veramente un falco, io e mia sorella eravamo contente, perché eravamo come lui. Anche noi riuscivamo a vedere gli animali selvatici.

Una volta siamo state anche più fortunati. Stavamo tornando a casa da una giornata in un agriturismo. Ai lati della strada campi di grano dorati (lo so che è un'immagine abusata, ma io me la ricordo proprio così). Il sole al tramonto che obliquo accarezzava queste distese di spighe piegate dal vento, qua e là punteggiate da gruppi di papaveri. In macchina io, Madre, Padre, Sorella e una cugina. Ad un certo punto Padre ci dice di guardare a sinistra, veloci, c'era una volpe.  Tre bambine spiaccicate contro il finestrino e la volpe era lì, che scivolava nei campi, sempre più nel fitto. Mia cugina cominciò a piangere perché non l'aveva vista bene, ma io ci ero riuscita: avevo visto una volpe, nel cielo volavano i falchi ed avevo condiviso un altro po' del mondo di Padre. Ero anche contenta che mia cugina non fosse riuscita a vederla: era una cosa nostra, solo della nostra famiglia. Un regalo che Padre aveva fatto a me, a Sorella e Madre.

Stasera la Puglia è lontana, come la mia famiglia. Sorella studia tra le brume meneghine, sicuramente i miei saranno addormentati sulle poltrone Poang davanti alla televisione. Da qualche parte i falchi stanno riparati nei loro nidi. La primavera non mi è mi sembrata così lontana, quel pomeriggio estivo di tanti anni fa sembra appartenere ad un'altra vita.

Una vita nella quale immaginavo questa.

-Ragazze, vedete, un falco. 
-Padre, ma qui siamo in città a Roma.
-Non siamo ancora in città, siamo sul Grande Raccordo Anulare che gira tutt'attorno alla città, stando sempre fuori.
-Quindi qui ci sono i falchi?
-Si, li hai visti, no?
-Uh uh. Padre e questo palazzo cos'è?
-Un'università, la seconda università di Roma.
Avevo sette anni circa. Eravamo a Roma per un week end. Accoccolata sul sedile dell'Honda Civic mi immaginavo studentessa universitaria, pronta a studiare come si fanno i libri. Mi immaginavo in un'università in mezzo a grandi prati verdi.

Stasera piove, vado all'università tra i prati verdi, studio come si fanno i libri e so riconoscere i falchi. 

Vostra sciagattante e nostalgica, 
Platypus

sabato 1 febbraio 2014

Give me a head with hair

Ci sono delle sere in cui nulla sembra girare. Ci sono delle sere in cui l'unica canzone che potrà mai descrivere come io mi senta è Dancing in the dark, del Boss. Perché sono stanca e annoiata di me stessa, non c'è un'anima disposta a darmi la scintilla per accendere un fuoco, mi guardo allo specchio e voglio cambiare i miei vestiti, la mia faccia, i miei capelli.

Ovviamente a farne le spese di solito sono i capelli. Senza pietà. Avevo deciso di smettere, ma i capelli rimangono l'unica cosa che si può cambiare nell'immediato. E di questi cambiamenti nell'immediato ci si può pentire. Ho provato a sostituire questo cambiamento con altri, per esempio il tipo di tabacco. O lo smalto sulle unghie. Ma niente, i capelli rimangono il più facile e rapido. E spesso dannosamente irreversibile.

Non sono nuova a questo tipo di sentimento. I miei capelli lo sanno e ne hanno fatto le spese varie volte. Con risultati non sempre apprezzabili. Anzi.
Dopo gli esami di maturità mi sono tagliata i capelli. Corti. Molto corti. Un centimetro. La parrucchiera non voleva, io la obbligai. E mentre i riccioli neri cadevano io mi immaginavo una Platypus con questo taglio corto e sbarazzino. Lo specchio rivelò quello che era lo stato reale delle cose, ovvero che i capelli molto corti non stanno molto bene su una ragazza con le spalle molto larghe. Fu uno shock. 
Quando ero già all'università, quindi fuori sede e quindi cronicamente senza soldi, decisi che volevo una chioma rossa. Sarò bio, mi dissi, ed andai in erboristeria a comprare l'hennè. Nel bagno di C., lei passò tutto il pomeriggio a spennellarmi il capo e poi ad avvolgermi la testa nella carta stagnola. Da qualche parte dovrebbe esistere anche una foto di questo exploit. Il mio compito è trovarla e distruggerla.

"Uniamo l'utile al dilettevole, ci tingiamo i capelli e ci proteggiamo dagli alieni"

Alla fine del pomeriggio le mani di C. erano rosse, il suo bagno odorava di hennè e yogurt, i miei capelli erano neri, come sempre. Neanche un riflessino. Nada de nada.
In seguito ci ho riprovato. Ma ho mandato a quel paese il bio e sono andata al supermercato a comprare una tinta. Essendo pazza, ma non completamente pazza, ho deciso di comprarne una specifica per capelli scuri, che non prevedesse la decolorazione. La decolorazione del capello mi spaventa. Temo di trovarmi in testa della paglia, che i riccioli svaniscano e via di seguito.  Così esco dal supermercato con la mia bella tinta sottobraccio ("Che la vuoi la busta?", "No guardi, faccio senza") e questa volta decido di agire da sola. Nel mio bagno siamo io e la tinta. Rosso mogano non ti temo. Spennello e canto, metto in posa e poi vai con la meravigliosa cuffietta imbarazzante. 
Le piastrelle del mio bagno alla fine erano effettivamente rosso mogano. Molto bello, molto lucenti, con tanti riflessi come prometteva lo slogan della confezione. I miei capelli erano ancora neri e puzzavano di chimico. 

Ho flirtato anche con il pensiero di stirarmeli i capelli. Ci ho anche provato, sempre da sola. Una volta mi è rimasta la spazzola letteralmente incastrata tra le chiome. Quando sono riuscita a districare e a proseguire il lavoro, sembrava avessi in testa un gatto morto. 
Se sono inabile, perché queste cose le faccio da sola? Perché è importante quel metterci del mio, lavorarci su con le mie mani, far arrivare al mio cervelletto da ornitorinco il messaggio che IO sto facendo concretamente qualcosa per cambiare. Fino a quando non riesco, mi agito, mi mordo la coda e cerco novità su novità. A volte mi prende anche un po' di frustrazione e piango. 

Giovedì sera era una di queste sere. Come un ornitorinco feroce in gabbia mi agitavo, non aiutata dalla visione di Teorema di Pasolini. E poi non so francamente come, mi sono trovata a cercare metodi per fare i ricci afro. In un passato più roseo sarei rimasta nella mia beata ignoranza, ma Youtube ha cambiato tutto, con tutoriali praticamente su ogni cosa, anche su come usare l'apribarattoli (si esiste e non mi vergogno di ammettere che mi sono trovata nella situazione di utilizzarlo per poter mangiare). 
Potrei farmi i capelli afro, il mio cervellino ha suggerito, quanto mai ci vorrà, poi i capelli sono già ricci, verranno sicuramente bene e saresti particolarissimi e fighissima. 
Pochi minuti dopo ero davanti allo specchio che mi arrotolavo le ciocche bagnate attorno a pezzettini di carta igienica. Nelle successive due ore di arrotolamento di fiocchetti di carta tra i miei capelli, mi sono chiesta più volte perché stessi facendo quello che al liceo odiavo mi facessero, ovvero riempirmi la testa di pezzettini di carta. Alla fine della serata avevo la testa tonda ed infiocchettata. Mi sentivo il cavallo di Barbie, quello bianco che vendevano a metà degli anni '90, quello con la criniera che potevi pettinare ed acconciare. Sorvolando sul fatto che in natura non esistesse un cavallo bianco con gli zoccoli viola. 
Secondo il tutorial, alla fine di questa operazione, dovevo andare a dormire. Ho obbedito alla signorina di Youtube.
Ieri mattina ho tolto i vari pezzetti. Avevo effettivamente la microphone head. No, non ero figa quanto avevo sognato. A un certo punto, grazie al cielo, mi sono ricordata che da qualche parte doveva esserci una scriminatura, un po' a destra. L'ho fortunatamente ritrovata e portata in salvo. Mi sentivo perfetta e diversa. 


Ho cantato questa canzone tutta la mattina.

Ho mandato una foto dell'operato a Madre, che, convinta mi fossi tagliata i capelli, ha avuto un principio di infarto. Padre ha apprezzato, dicendo che gli ricordava la sua giovinezza. Non ho voluti indagare. I miei amici hanno detto più o meno tutti che stavo bene, con più o meno convinzione.

Poi ieri pomeriggio sono andata a trovare una mia amica e lei mi ha detto: "Ma che hai in testa? Un fiocco di carta igienica?". Ho fatto la vaga. Ieri sera all'aperitivo mi sentivo la più figa. 
Poi siamo usciti dal locale. Pioveva. Il mio ombrello si è rotto. Mi sono stretta sotto un ombrello con un amico, ma era ormai troppo tardi. I miei ricci afro sono inesorabilmente scesi, vinti dalla gravità e dall'acqua. 

-Caro F., io capisco che ad una festa di laurea,ma perché siamo le uniche anime che girano per San Lorenzo con il diluvio universale?
-Platypus, carissima, è che siamo elettori del PD, quindi poveri stronzi.

Stamattina avevo i soliti capelli di sempre.
Sarà un lungo week end.

Vostra e sciagattante nelle pozzanghere romane, 
Platypus

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