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venerdì 28 novembre 2014

La guerr''n cap.

Sono stata assente a lungo. Quasi un mese.

Il fatto è che gli ornitorinchi sciagattano. E qui nulla di nuovo. Il problema è che a volte sciagattare è un po' stancante, viene voglia di lasciarsi galleggiare e trascinare dalla corrente. E mentre ci si lascia trascinare via, si pensa, molto, forse troppo. Allora partono dei pipponi mentali niente male. 

In questo mese mi sono macerata in una certa malinconia, lavorando e studiando, preoccupandomi per cavolate e cercando di ignorare il pisello (il legume, eh, non crediate) sotto i sette materassi. Mi sono avvolta in delle occhiaie niente male, le portavo in giro con aria di importanza, mica perdo tempo io, io lavoro (aggratis) e studio.E quando non lavoro e studio mi voglio stordire con sigarette e serie tv, perché non voglio pensare ai cazzi miei, preferisco piangere per Orange is the New Black o per Scrubs, fermate il mondo, voglio scendere. 

E ogni volta che mi mettevo qui, davanti a questa pagina bianca, il cursore lampeggiava e volevo buttare fuori solo cose tristi. Pensavo non andasse bene, perché una volta che ne parli, ecco che quelle cose tristi e informi che ti porti dentro, ecco, solo allora sono reali. Non volevo fossero reali. 
Mi sono trincerata dietro un sorriso stanco, un paio di occhiaie, acidità e sempre a portata una bella maschera sorridente e gioiosa. Ho ridotto al minimo le telefonate a casa, a Sorella, i momenti cuore a cuore. Ho usato come combustibile la pressione, messo sottovuoto i sentimenti, stretto i denti e via. Se la gente conosce le tue debolezze potrebbe approfittarsene. O peggio, offrire il suo sostegno. 

Io sostegni non ne volevo. 
Io sostegni non ne voglio. 
Perché a me piace sostenere la gente, rendermi utile. Sono egocentrica e sono convinta che se crollassi io, crollerebbe il mondo. 

In questo periodo più persone mi hanno chiesto come andasse. 
A Padre ho detto che ero solo molto stanca.
A G. ho raccontato di pippe mentali circa  Il Lui.
A C. ho detto che mi era mancata. 
A F. ho detto che mi stavo lasciando suggestionare dalle serie tv e che tutta una serie di storie tragicomiche di Tinder stavano minando la mia fiducia nel cromosoma XY.
Ad A. ho detto che stavo preparando esami che non mi piacevano.

La verità, la fottutissima verità, nient'altro che la nuda verità, è che ho la guerra in testa. Mi sono costruita una diga per non farla uscire.

La cosa divertente delle dighe è che se non si lascia defluire un minimo d'acqua, crollano. 

Sono crollata, in corridoio all'università, in fila per un ricevimento. La proverbiale goccia è stata la messa in discussione della qualità del mio lavoro. In maniera poco gentile e molto insensata. Via Whatsapp.

La corrente dalla quale mi lasciavo trasportare era diventata troppo forte. 

Quel pomeriggio qualcuno, più di uno, mi ha sostenuto con un fare da super eroe. E per un pomeriggio mi sono cullata di questa sensazione, un laissez faire, difendetemi e coccolatemi, fate pure, io regredisco allo stato larvale. Il mondo oggi salvatelo voi. 

Nella vita, però, non arriverà sempre qualcuno a salvarmi, da altri o da me stessa. 
Sto riprendendo a sciagattare. Le cose tristi e informi ci sono sempre. Ne ho sempre la stessa paura e continuo a rimandare il momento del confronto. Ho paura di uscirne sconfitta. Ho paura di scoprire perché sono lì. Sono arrabbiata per la loro presenza.

Ho avuto una vita facile, non ho mai sofferto grandi dolori oggettivi, c'è gente che problemi ben più seri dei miei e questi mostri li tiene a bada o accusa il dolore molto meno di me. Le cose informi e tristi non hanno ragione di stare lì. Non dovrei avere la guerra in testa. Non dovrei voler salvare il mondo e le persone a prescindere. Il fatto è che, se  provi a salvare la gente dai problemi di tutti i giorni, se provi a renderti utile, se ti piace aiutare, ti puoi sentire una persona migliore e puoi  provare ad espiare i mostri ingiustificati che ti porti dentro.  Diventare un sostegno per qualcuno è diventare un sostegno per me stessa. 

E poi magari mi sento malissimo perché nel fare la lavatrice ho spaiato un calzino. 

C. dice che sento le cose un po' più forte degli altri, nel bene e nel male.
Sorella, tra una diagnosi improbabile e l'altra, dice che sono molto sensibile. 

Io non voglio sentire più forte degli altri. Io non voglio essere sensibile. Io non voglio essere debole. 
Io voglio essere un super eroe che aiuta la gente.
Mi accontento anche di essere una persona normale.
Per farlo dovrei provare a mettere ordine tra le cose informi. 
E ci troviamo punto e a capo.

Sciagatto, sciagatto e non smetto, ora che ho ripreso.

Platypus






mercoledì 5 novembre 2014

martedì 21 ottobre 2014

Mi dia anche due etti di coraggio, per cortesia

Da grandi poteri derivano grandi responsabilità. 
(il fatto che C. non mi mandi a quel paese quando la coinvolgo in questi pensieri profondi la dice lunga su quanto mi tolleri)
Cosi ho scoperto il mio superpotere, seduta in mezzo alla folla. Gente comune, prostrati ai miei piedi. IO MI SEGGO. E s sono benigna mi smuovo. Ma è un potere che va usato con molta discrezione. 

Con la consapevolezza che a breve dedicheranno un fumetto a questo mio strabiliante potere, me ne tornavo a casa. In metro, ovviamente. 

Ora, ai tornelli della metro, mentre ero persa in una fantasia molto Bollywood sulla mia laurea (sostanzialmente andava così: la commissione si commuove per la mia fantastiliosa, strabiliante e groundbreaking tesi, petali di fiori sul mio cammino e poi tutti ballano sulle note di Ja-ho), quando sono stata brutalmente strappata dai miei pensieri.

Al di là dei tornelli, un'impiegata dell'Atac inseguiva una ragazza con uno zaino. 

-Fermatela! Ridammi lo zaino, disgraziata! Dammelo!
La ragazza si impanica, non vede vie d'uscita, lancia la borsa al di là dei tornelli. Sui miei piedi. 

Io lo prendo. L'impiegata dell'Atac prende la ragazza per il braccio. Si divincola, scavalca i tornelli. Io lì, con lo zaino in mano, senza ben chiaro che fare. Poi lo zaino mi viene strattonato da un'altra ragazza. Arriva la ragazza dai tornelli. L'impiegata dell'Atac segue. Io non cedo lo zaino. La ragazza in fuga mi si avvicina minacciosa. L'atac continua a gridare. Quando vedo che la ragazza mi sta per venire addosso, mollo lo zaino e mi appiattisco al muro.  
Le ragazze fuggono, l'impiegata continua a urlare che qualcuno le fermi. Un signore anziano fa un vago tentativo, ma ci rinuncia.

A quanto pare, la prima ragazza era stata fermata con un'amica (quella che strattonava lo zaino) dalla polizia, che le aveva sequestrato lo zaino vuoto, usato per borseggiare. La polizia aveva quindi buttato lo zaino. La ragazza era tornata a recuperarlo. L'impiegate se ne era accorta ed era partita all'inseguimento.

Antropologicamente quella che ho fatto sarebbe una thin description dell'evento, ovvero un mero racconto dei fatti, senza cercare di fornire spiegazioni (thin description).

Sul treno, ovviamente seduta, ho riflettuto su quanto fosse appena successo, cercando la thin description.

Io lo so perché ho mollato lo zaino: perché ho avuto una paura maledetta. Perché c'era un sacco di gente e nessuno ha reagito, stavano tutti a guardare. E mi sono passate in mente scene di violenza in metro già viste accadere a Roma.

Però l'episodio può avere tutta una serie di letture. E di domande.
1. Io credevo che lo zaino fosse stato scippato. Più che naturale provare a recuperarlo. Il fatto di averlo mollato fa di me una vigliacca.
2. Lo zaino era stato sequestrato perché effettivamente usato per rubare, o perché le ragazze erano Rom?
3. Io ho mollato lo zaino perché ho pensato a me stessa. Sono tanto diversa da chi passava e non ha fatto nulla?
4. Se la mia associazione mentale immediata è stata con questo, sono razzista ?
4. Cosa è meglio: fare gli eroi o pensare alla propria incolumità?

Non voglio per forza risposte, rassicurazioni o cose che mettano in pace la mia coscienza. Voglio capire. Se chi siamo si giudica dalle azioni, io allora chi sono?
Ci riflettevo e continuo a rifletterci.
Solo che ogni volta mi sento sempre meno super eroe e sempre più piccola.


Vostra e sciagattante,
Platypus


domenica 19 ottobre 2014

Illuminazioni

Un inspiegabile pomeriggio libero.
Nessuna mail da mandare, libro da leggere, comunicato stampa o brochure da scrivere. 
Io e due amici, tutti e tre stupiti e instupiditi da questa improvvisa, inattesa e quasi commovente inattività. Sigaretta, caffè... e poi? Credo di essermi dimenticata come ci si rilassa. 

Quoi faire di queste ore d'aria?

Ci decidiamo per un film. Il mio hard disk da un tera viene sacrificato per la causa.

-Allora... L'avvocato del divaolo?
-Già visto.
- Highlander?
-Abbiamo avuto il momento trash anni '80 già l'anno scorso.
-Non ti chiederò perché hai la trilogia di Sissi con Romy Schneider. 
-So che sembra strano, ma ogni tanto ho bisogno di vedere quest tipo di film. 
-Stupido?
-Da donna, idiota. poi Sissi ha dei vestiti favolosi.
-Bah... Il labirinto del fauno?
-Platypus ce l'ha fatto vedere due anni fa. Improbabile.
-Solo perché voi siete insensibili al fascino della magia e di motivetti che ti incantano.
-Lost in translation che è?
-Un film della Coppola con la Scarlett.
-No, la Coppola, no. Anche se Scarlett...
-Mi aveva detto che c'era un suo topless.

Non era ancora stato pronunciato il less che è partito il film.
-Siete uomini triviali.
- Si tratta di Scarlett, taci donna.
-Per un paio di tette tutta questa storia?
-Tette che abbiamo già visto grazie al Fappening, del resto.
-Siete estremamente triviali. 
-Si, si, la so la storia che è tipo una molestia eccetera, che ci augurerai capiti alle nostre figlie, ma oh, quando ricapitavano la Lawrence e la Scarlett? Adesso zitta e guarda questa scena interessante.


Dopo un po' Scarlett è ancora vestita. L'attenzione maschile cala. 

E poi, l'epifania.
-Ma...ma... questa è la pubblicità dell'Aceto Ponti!
-Che?
-L'attore in smoking, il regista che urla in giapponese e l'assistente che traduce cortesemente!
-Nooo.
-La mia percezione della vita è cambiata totalmente. 
-Del tutto.

Dopo mezz'ora la novità delle citazioni svanisce. Scarlett è ancora vestita. I miei amici staccano il film.

E io penso ancora alla pubblicità.


Sono un animo semplice.

Vostra e sciagattante,

Platypus

martedì 14 ottobre 2014

Mi riposerò quando sarò in sessione

Continuano a essere giorni impegnati. A confronto studiare per gli esami è una bazzecola. 

I miei panni, abbandonati sullo stendino, cantano a ripetizione "Don't leave me hiiighhhhh, don't leaaaveeee meeee dryyyyyyyyy", ma io faccio orecchie da mercante. Quando avranno raggiunto le due settimane di permanenza, avranno vinto un trofeo.

Piuttosto che rimetterli a posto, mi sono binge watched tutta la seconda stagione di Orange is the new Black, rinunciando anche a preziose ore di sonno. Tra l'altro questo ha fatto solo danni, dato che la seconda stagione è troppo emotivamente sconvolgente.  Ho quindi iniziato il giorno dopo con gli occhi gonfi di sonno e di lacrime, perché io empatizzo.

Domenica un altro evento con gli ingegneri. 
Salone dell'Auto. La nostra macchina carinissima ed esposta. Dietro il carrarmato dell'Esercito. E dietro la fila dei bambini che aspettavano di farcisi la foto sopra.
Serve un'idea, l'ideona che ci consenta di emergere dietro la folla di pupi urlanti che vogliono fare i soldati. Peace ragazzi, peace.

Io e G. ancora ci rimpalliamo la colpa su a chi di noi due sia venuta l'idea. Fatto sta che ci troviamo a sollevare bambini e a fotografarli nella nostra macchinetta. Bambini con un peso specifico non indifferente, dato che sono tutti piccolini, magrolini, ma pesano un accidente. 

Un ragazzino si avvicina, batte con le nocche sulla carena e dice: " Ma è finta!". Sedati gli istinti omicidi degli ingegneri, che propongono di dare una dimostrazione di quanto corra investendo l'incauto puer.

Un altro bambino prova a scardinare lo sterzo. Si becca un sorriso da coccodrillo e rimane traumatizzato, tutto occhi.

Quindici bambini dopo io non ho più una schiena, l'eye liner è migrato dalle palpebre superioiri alle occhiaie, i capelli non hanno più una forma che sia una. Arriva il turno di un pupetto sui tre anni, biondissimo, occhi azzurrissimi. 
Solleva, infila in macchina, Sorridi tesoro, adesso ti prendo e ti faccio uscire, facciamo l'aeroplano [tutto questo detto con ormai il pilota automatico], vola vola, eccoci qui. 
Mi giro per sollevae il successivo sacco di patate, mi sento tirare l'orlo della maglietta. Il pupetto biondo.

-Ma tu sei proprio bella!

Rimango interdetta, mi accovaccio, lo ringrazio. 

Ho continuato a fare sollevamento bambini tutto il pomeriggio, ma quel bambino continuava a venirmi in mente.

Due possibilità:
3 anni e già così miope.
3 anni e già così paraculo.

Vostra e sciagattante,

Platypus

mercoledì 8 ottobre 2014

La percezione in famiglia

In queste settimane i deliri e mail, i miei hanno deciso di venire a trovarmi. Dalle brume meneghine è calata anche Sorella, emozionata all'idea di abbandonare l'ombrello e di potersi lamentare della gente che in metro si ferma sul lato destro delle scale mobili.
Tre giorni di pace, amore, cibo e bestemmie nella Cappella Sistina, dove la densità di gente è tale che ho una turista danese ancora parzialmente incastrata sotto la scapola. 
C'era il sole, il caldo e una stanchezza diffusa, dato che ho capoticamente deciso che la mia famiglia dovesse camminare per chilometri. 

E poi lo shock generazionale.

Padre e Madre.
-cara, vedo in giro un sacco di gente che vende i ganci per arrivare agli scaffali alti degli armadi. Dovremmo comprarne uno.
-Hai perfettamente ragione. 

Io e Sorella non capivamo di che ganci si parlasse. Non era chiaro.

-Quali ganci?
-Quelli.
-...
-...
-...
-Non sono ganci, vero?
-No, Padre.
-Ma saranno mica i bastoni per farsi le foto con il cellulare?
-Si.
-A me sembravano ganci.


L'acquisto è stato sventato, la pace familiare era salva e ci siamo coccolati tanto.

Domenica pomeriggio sono ripartiti tutti. Lunedì mattina è suonata la sveglia.

solita vita.

Vostra e sciagattante,

Platypus

venerdì 26 settembre 2014

Todi limited

Sveglia alle 6.00. Mi dimentico di che giorno sia, rimando e mezz'ora dopo sorgo dal letto, ricordandomi che devo andare, ho un treno da prendere. Mentre mi lavo i denti in doccia (tip consigliato da un ritardatario cronico), mi sovviene che sarebbe stata una lunga giornata. 
Borsa, colazione per strada, corsa. Metro. O meglio, metro di punta, con il mio viso esattamente ad altezza ascella di chiunque altro. A Termini, slaloom tra le persone, passo svelto, eccomi con M. e G., pronta per andare a un evento nell'esotica e lontana Todi.

Prendiamo un treno regionale fino a Terni. Poi un autobus, poi di nuovo un treno. 

Stazione di Todi. Noi tre e un pastificio abbandonato. La cittadina, su un cocuzzolo. Tre chilometri in salita. Sotto il sole.
Troviamo la fermata della corriera. Poco lontano, una nonnina è seduta al sole con un gatto nero.

-Mi scusi, ogni quanto passa la corriera?
-Ogni dieci minuti.

Venti minuti dopo, noi tre siamo ancora lì.
E poi dieci minuti dopo ancora.

-Ragazzi, io ve lo dico, io comincio a fare l'autostop.

Con i miei occhiali da sole wannabe-Beyoncè-ma-a-10-euri-che-c'è-crisi alzati sulla fronte (psicologia spicciola: viso scoperto per mostrarmi disarmata e disarmante), per la prima volta in vita mia alzo il pollice. G. mi imita, M., essendo uomo, si tiene prudentemente in disparte.

Non sono più gli anni '60, la gente non offre passaggi agli autostoppisti.

Sembriamo i personaggi di un film di Wes Anderson, bloccati nel mezzo del nulla a fare l'autostop.

Alcune macchine si scansano, alcuni accellerano.

-Platypus, abbassa il pollice.
-Perché?
-Perché quello è un camioncino della nettezza urbana, ci sono solo due posti davanti, dietro i rifiuti e tra i rifiuti io non ci viaggio.

Passa un quarto d'ora. I pollici coraggiosi resistono.

Poi il miracolo.
un signore anziano si ferma e ci carica. 
Fino a metà strada, dove prendiamo un altro autobus. 

E poi, come in tutti i film a lieto fine, siamo arrivati.

 Passa la giornata. Ritorno.

Corriera, attesa di un'ora in stazione, treno, bus, treno e Roma.

Dove, come in tutte le giornate a lieto fine della mia vita, mi sono schiantata a letto.

Vostra, sciagattante e internascional (sic)

Platypus

martedì 23 settembre 2014

The good times are killing me

Settimane piene, pienissime.

Pazienza per il :"No, ma torno a Roma con un paio di settimane di anticipo, così parlo con relatore e correlatrice e inizio a leggermi un po' di cose per la tesi". Pazienza. Forse la prossima settimana. Forse. 

Eppure non mi posso lamentare, perché faccio cose, vedo gente, mi faccio le ossa in un campo lavorativo che mi piace e mi soddisfa. Sarà la novità, sarà che mi è sempre piaciuto immaginarmi così, che mi barcameno tra mille cose e con novità ogni giorno.

Però...
C'è sempre un però. 
Il però è che sono due settimane di questa vita e sono già molto stanca. Una stanchezza euforica, che è anche peggio della stanchezza dei periodi tristi. Nei periodi tristi, quando sono stanca, metto il pilota automatico e vado, mi immergo nella routine e amen, immusonirmi significa conservare energie. Niente di nuovo, niente che mi entusiasmi e riuscire così a non devastarmi totalmente.

Ma la stanchezza euforica. Brutta bestia. La stanchezza euforica ti soddisfa, non dico di no, ma genera sempre altra stanchezza. Un nuovo progetto? DEVO partecipare. Nuove idee per lavori già avviati, serve qualcuno che faccia qualcosa, ed ecco che la mia mano scatta, lo faccio io, lo faccio io!

Le mie occhiaie fanno provincia, il correttore è di nuovo il mio migliore amico. 
Alla sera crollo nel letto e svengo fino al giorno dopo, quando ricomincio. 
Ho i capelli un po' sfibrati e l'afa romana non è certamente d'aiuto.
Caffè e sigarette, documenti Word, Excel e Power Point, telefono sempre a portata. Mail, valanghe di mail. 

The good times are killing me.

Però...
C'è sempre un però.
Però ho un sorriso idiota stampato in iso e non posso fare a meno di raccontare alla gente ciò che faccio nella vita. lo racconto a chiunque, nessuno sarà risparmiato dalle mie valanghe di buon umore e di stanchezza. Sono come quelle neomamme che, anche se il pupo non le fa dormire più di due ore di fila, non possono fare a meno di magnificarlo a chiunque. 
Tanto che me lo hanno anche detto.
-Quanto te la tiri per sto lavoro.

Faccio cose, vedo gente, sono stanchissima e ogni attimo libero è buono per dormire. 
Ma quanto mi diverto.

Vostra e  sempre sciagattante,
Platypus

venerdì 19 settembre 2014

Come è andata in realtà. La verità vera.

In una casa della campagna inglese. Squilla un telefono.
-William,  William,  vai  rispondere!
-Tanto è tua madre! Vacci tu!
-Sei uno stronzo. Pronto?
-Katy,  figlia mia!
-Ciao ma'. Come stai?
-Comw devo stare? Male, ecco come sto.
Kate alza gli occhi al cielo e leva di bocca un corgie di pelouche a George.
-Che altro è successo, mo?
-Pippa, sta una pezza.
-ha scritto un altro libro che è stato un fallimento?
-No , sciocca! Te lo ricordi il suo ex?
-Quale? 
-Quello del locale in centro a Londra, con quel nome, il Bunga Bunga.
-Quello che ha fatto partire un embolo all'addetto stampa di palazzo? Che poi mi pare fosse amico di scuola di Willy e di mio cognato -chiede Kate, mentre baby George prova a assaggiare la cornetta. Schiaffetto materno sulla paffuta manina reale.

-Si quello. Beh, si sposa.
-Auguri a lui. Mò perché lei sta una pezza? Spiegami.
-L'ha invitata al matrimonio.
-Nooo.
-Siiii.
-Ok, adesso capisco che stia male. 
-Stare male è dire poco. Sta abbracciata alla sua Chanel transizionale, quella che le abbiamo regalato ai sei anni. Piange, porella, piange tanto.
-E ci credo. >senti ma dove si sposa questo animale?Gli blocchiamo tutto, qualcosa si trova...
-Si sposa fuori dal Regno Unito, l'animale. Aveva previsto tutto.
-Pezzo di merda.
-La duchessa di Cambridge non si esprime così.
-Ah mà!
-Intanto dobbiamo trovare una soluzione per tua sorella. Rifiutare non si può, di andare ci deve andare.
-Ma non da sola.
-Eh, il problema è che ci deve andare con uno più ricco, se no abbiamo fatto pippe.
-Non ha qualche milionario per le mani?
-No, è di questo che si lamenta.
-Mmmm...
-Senti Kate...
-Dimmi, dice la duchessa di Cambridge, mentre avvicina il nasino reale per nobiltà acquisita al pannolino del futuro erede al trono del Regno Unito e del Commonwealth. Pannolino che è pieno.
-Ti ricordi il giorno del tuo matrimonio?
-E chi se lo scorda, ma perché lo stai tirando in ballo ora...
-Ti ricordi tua sorella e i giornali scandalistici?
-Quale delle tante occorrenze?
-Il culo di tua sorella. E gli occhi di tuo cognato.
-Harry che le spizzava il culo, dici?
-Eh.
-Embè? Aspetta un attimo mà.- la duchessa si stacca dalla cornetta. - Williaaaam! Vieni a cambiare il pannolino a tuo figlio! Sta pieno da far schifo! Sta cosa l'ha presa da tuo padre, sicuro! Mamma dimmi-  mentre l'erede al trono del regno unito prende in consegna il figlio, pannolino pieno e viso visibilmente soddisfatto.
-Meh, pensavo, dato che comunque lei ha un certo fascino, si potrebbe, non so, chiedergli di accompagnarla.
-Mio cognato e mia sorella? Ma ti immagini i paparazzi?
-Appunto. Quello del bunga bunga creperà d'invidia e poi, vuoi mettere l'onore di avere un reale al matrimonio?
-Effettivamente... Ma che giorno è?
-Il matrimonio il 19 settembre, quindi bisogna arrivare lì il 18.
-Il 18 c'è il referendum della Scozia.
-E vorresti lasciare Harry a piede libero sull'isola a fare danni?
-C'hai ragione mà. Aspetta in linea, fingo di attaccare e parlo con quel pelato di mio marito.
Kate Middleton poggia la cornetta, fa un respiro profondo e chiama suo marito.
-WILLIAM!
L'erede al trono  occorre, Baby George sottobraccio come una palla da rugby.
-Che c'è? Che succede? La gravidanza?
Kate alza gli occhi al cielo. Sarà anche un reale, ma suo marito diventa un coglione quando lei è incinta.
-Il secondo principino  a posto... credo. Ho ricevuto una notizia che mi ha molto addolorato.
-Cosa, amor mio?
-Mia sorella soffre. L'ex si sposa, è stata invitata, non ha chi l'accompagni e ...eh tutto così orribile!-. La duchessa di Cambridge nasconde il viso tra le mani e singhiozza. Gli occhi sono asciutti e sbirciano tra le dita. Vede il marito che rotea gli occhi e sibila a Baby George "Ecco un'altra sceneggiata napoletana". Lei ha il buonsenso di tacere e fermare i singhiozzi.
-Del resto siamo fatti per soffrire. Mia sorella accetterà il suo fato, con nobiltà regale, derivata da un matrimonio altrui. Ma la cosa mi prostra. Anzi, mi fa stare male. sento, sento...come delle contrazioni. Alla pancia. All'utero.
-No, per carità di Dio, l'utero e il secondo principino no. Dimmi che cosa ti serve.
-Harry deve andare con mia sorella al matrimonio.
-No.
-Si.
-Nonne me s'encula. 
-Sticazzi. Tuo fratello deve portare mia sorella a quel matrimonio. A tua nonna poi glielo spieghiamo. Poi si tratta di partire nei giorni del referendum degli scozzesi.
-Quindi di allontanare Harry dalla possibilità di fare danni.
-Si. Due piccioni con una fava, quella di tuo fratello.
-Sei greve. 
-Mi ami anche per questo. Adesso chiama tuo fratello. 
-Ora?
-Si, davanti a me. In vivavoce. E passami il pupo, che lo stai a scuote tanto che diventerà scemo come tuo padre.

L'erede al trono inglese le passa il principino, si passa una mano tra i pochi capelli e estrae il cellulare. Compone il numero. Inserisce il vivavoce. Tre squilli. Harry risponde. In sottofondo una rumba e una voce femminile che mugola.
-Willieeee, ciao bro, senti, non posso stare al telefono-...
William sospira e, come è abituato a fare, parla con voce ferma e glaciale.
-Allora, congeda la biondona che ti stai bilanciando in grembo, smettila di bere, abbassa la musica e ascoltami, altrimenti chiamo la nonna, che già ti odia perché non sei il suo vero nipote.
Il discolo è riportato all'ordine.
-Dimmi tutto, sua altezza- Harry si mancia un "di sto cazzo" poco percepibile.
-Bisogna accompagnare una ragazza a un matrimonio.
-se si tratta di quei due cessi di beatrice e eugenia, te lo puoi solo sognare...
-Si tratta di mia cognata Pippa.
-Pippa chiappe-d'-oro-che-ti-strapperei-il-vestito-da-damigella-e-ti-prenderei-davanti-a-tutti-nell'-abbazia?
La mascella di Kate cade, scandalizzata.
-Lei.
-Ma me la posso fare?
-Ehm....Harry, ti saluta Kate.
-Sono in vivavoce, vero?
-Si.
-Ciao Katie. Certo che la accompagno tua sorella, quella gran topolona!
Kate rimane ammutolita.
-Vabbè Harry, ti faccio sapere i dettagli. 

Chiuso il telefono.
-Cotenta ora?
-Certo pucci pucci. Stanotte sarò la tua Anna Bolena, per ringraziarti.
William se ne imbaldanzito.
Kate si precipita sulla cornetta.
-Ma', ci sei? Hai sentito?
-Si, ottimo! Tutto secondo i piani!
-Mamma, non finirò mai di ringraziarti per avermi impedito di fare ingegneria areospaziale all'università! Ai tempi l'anno sabbatico e studiare storia dell'arte l'avevo visto come una punizione, ma devo dire che ne sono derivati discreti vantaggi.
Le due donne ridono.
-L'unico svantaggio è che per fare la principessa del popolo mi devo vestire da Zara. Due coglioni.
-Coraggio figlia mia. Adesso sistemiamo anche tua sorella e poi ci pensiamo.
-A proposito, dove si terrà questo matrimonio?
-A Monopoli, vicino Bari.
-No, quell'infame si scrofanerà pure un sacco di panzerotti e riso patate e cozze! 






Secondo me questa è l'unica spiegazione accettabile per questo.



lunedì 15 settembre 2014

Ritorno

Esco dalla Stazione. Sole e caldo, a casa ho lasciato temporali e freddo. Una valigia per mano, tracolla  del pc su una spalla, tracolla della borsa sull'altra. Sono il Rambo dei bagagli. Che oltretutto non sono completi. Al solito, alla mia partenza segue pacco.

Mk faccio strada tra la folla, verso il marciapiede. Un ragazzo che fa volantinaggio mi si avvicina e mi porge un foglietto. L'unica risposta che gli dò è sollevare le sopracciglia, indicando col memto i bagagli. Insiste.
-Perdonami, sto carica, ti sembra il caso?
Il giovinetto accanna.

Trovo il mio posto nel mondo sul marciapiede.
Un paio di tassisti abusivi mi chiedono se mi serve un passaggio.
-No, la ringrazio, sta venedo un'amica arendermi.
Si allontano, pensando chd non sono piu tempi questi, quando erano giovani loro mica tutti i ragazzi giovani avevano la macchina, adesso tutti viziati, girano per Roma e sono convinti di avere in mano il mondo, cheoi, imvece di andare a prendere le amiche alla stazione, non sarebbe il caso andassero a lavorare?  O tempora, o mores.

Vengo investita da ondate di turisti, che si possono classificare ad occhio nudo.
Ecco le tre giovani inglesi, vestite in maniera identica con abiti lunghi e cappelli di paglia, perché qiando vai in Italia ti vesti come gli italiani.  Una coppia di tedesche sui 30 anni ha due completiappaiati, in colori fluo, con gonne cosi corte da voler rimembrare le gemelle Kessler.  L'effetto non è riuscito.
Coppia nordica attempata, bermuda, sandalo lei, scarpa da trekking lui, calzimo bianco di ordinanza, zaini sul davanti, cappelli idro e foto repellenti, sbaffo di crema solare sul naso, comunque impietosamente rosso, guida turistica in mano.
Gruppo di giovani americani caciaroni, urlano e si chiamano a vicenda, zaimi da imter rail, qualcuno ha anche lo skateboard. I più chiari sono impietosamente rosso aragosta. La crema solare è un optiomal, se vai in inter rail nell'Europa del sud, tornare senza strati di pelle fa figo.
Giovani domne asiatiche marciano compatte, vestite integralmente da Zara e H&M, come visto da catalogo.
Uomini in completo si lamentano in accento lombardo che questa città un caos, Roma è sud. Allentano la cravatta e fanmo scivolare l'occhio sulle ragazzette e donne che passano.

Tra la calca io e un uomo di colore che fa volantinaggio. Nero come l'ebano.

-Te stanno a venì a prenne?
A sentirlo potrebbe essere cresciuto a Tor Pignattara.
-Si.
-E mettite all'ombra, che se no ti scalli.
-Non posso allontanarmi troppo, non c'è parcheggio.
- Te viene a prende la famiglia?
-Si.

In quel momento vedo la mia amica C. che si sbraccia in doppia fila. Mi rimporvera perchè ho fumato e non rispondo al cellulare. Carichiamo,  mi abbraccia, ci mettiamo in macchina. Saluto il mio compagno di attesa.

Amo questa città.
Amo ricominciare con la mia famiglia ausiliaria.

Vostra e sciagattante,
Platypus

giovedì 11 settembre 2014

come gestire le paure

Non sono un'anima coraggiosa. Mai stata. Ho ancora strascichi di paure infantili, più o meno stupide. La più stupida è la paura dei tuoni, lampi e fulmini. Una paura che non è stata aiutata dagli studi classici, con Zeus che ogni tanto si prodiga a incenerire gente, rapire vergini e simili. 
Quando in campeggio con gli ingegneri è venuto giù il diluvio, ecco, già pensavo a come lasciare le mie ultime volontà, mentre la tenda si illuminava a giorno, scossa dal vento e l'acqua scrosciava. Il mattino dopo, quando ho aperto la lampo, mi sono meravigliata che il mondo esistesse ancora. Non è stato un toccasana per i miei nervi. 

Ieri, qui in Puglia, ha cominciato a tuonare. Sola in casa con Nonna, con molto aplomb, m sono andata a fumare una sigaretta sul pianerottolo.  Meditavo già di andarmi a imboscare in qualche angolo, felpone di ordinanza, quando Nonna si affaccia sulla porta di casa.  

Si china sulla soglia e lascia un santino di Sant'Antonio da Padova.
La guardo. Mi guarda.
-Sant'Antonio da Padova,  protettore dalle tempeste.

E mi lascia lì, a ponderare.

Vostra e letteralmente sciagattante,
Platypus

lunedì 8 settembre 2014

It's the end of the hair as we know it

Di nuovo in Puglia, di nuovo a scrivere dal tavolo della cucina, unico punto dove il wi-fi sia apprezzabile. L'ultima settimana estiva nella casa paterna, una settimana di transizione né carne, né pesce. Una settimana in cui bisogna decidersi a mettere via i sandali estivi e i vestitini colorati e cominciare a cercare i cardigan di cotone/lana leggera. E scoprire che un paio sono partiti alla volta di Milano con Sorella. 
Una settimana che ha un che di onirico, perché è ricomparso il pc serio che ho tenuto nell'armadio tutta l'estate, e perché si comincia con il valzer dei saluti con le amiche del liceo, che partono, partono tutte, per un tirocinio a Taiwan o per il classico Erasmus in Spagna. E a me i saluti mettono un po' d'ansia, non si capisce perché, le avrei salutate anche se fossero rimaste qui, ma il fatto che ci siano mari di mezzo, beh, ecco mi sconvolge un po'. 

Mi devo anche abituare a cambiamenti ed epifanie. Epifanie e cambiamenti che ho somatizzato e che mi hanno fatto passare una simpatica giornata abbracciata alla bacinella, trasformata in un doccione di Notre Dame de Paris quando piove. 

L'epifania, la grave epifania è che questo è l'ultimo anno da studentessa, almeno secondo i miei piani. Se tutto dovesse andare come dovrebbe e come da programma, dall'anno prossimo non avrei più scuse. Dovrei cominciare a cercarmi lavori per i quali venire effettivamente pagata, un affitto non più in funzione dell'università, ma di un (si spera) posto di lavoro. Con l'anno prossimo il passaggio da ragazza a giovane donna sarà inevitabile agli occhi del mondo. In sintesi questo è l'ultimo anno che ho per pazziare e vivere senza problemi, hakuna matata. Crollerà anche la mia scusa per non vedere Girls, perché se adesso non mi ci rispecchio, beh, ci rivediamo quando mi arriveranno le prime bollette. O comincerà la quadriglia dei colloqui di lavoro. >Sto anche rosicando perché mi sembra di aver finito ieri la tesi della triennale e a ottobre ho già appuntamento con la relatrice della nuova. Pietà.
Gli ultimi quattro anni sono volati. Platypus, attenta a non farti sfuggire almeno questo. 

I cambiamenti. I cambiamenti sono legati all'epifania, altrimenti non crederei di essere in un racconto di The Dubliners, mi sembra ovvio. Cambiamenti poi... dobbiamo far sì che tutto cambi, perché rimanga alla stessa maniera. 
In realtà ci sono pensieri che bisogna lasciar andare, anche se è da un anno e più che me li tengo accoccolati tra le braccia, accarezzandoli e stritolandoli. Il cambiamento è necessario, me ne sono resa conto l'altra sera, mentre per la prima volta mi mettevo veramente a nudo. Ecco, via tutti gli strati, io sono questa e per la prima volta mi faccio vedere, per la prima volta ascolto veramente cosa hai da dire. Poi le mie paturnie me le rimetto addosso, ma qualche pezzo provo a lasciarlo per strada. 
[Inutile che vi dica che, una volta passata la nausea, tutte le piccole Platypus, Over Rational, Over sensitive, e company, si  sono unite in un coro infernale cantando Let it go di Frozen].


Questo è quanto. Decisioni e tentativi di miglioramente seguiranno. Al momento rimango un po' nel limbo. 

Solo una grande decisione è stata presa: cambio taglio di capelli. Un modo come un altro di cambiare testa.


Vostra e sciagattante,

Platypus

mercoledì 3 settembre 2014

Ok, il prezzo è giusto!

Mi sono presa un po' di pausa. 

Volevo essere leggera, ma non è evidentemente una politica che su di me riesce. Per questo motivo, in questi giorni in cui la tastiera del pc è stata la mia peggiore nemica, ho letto, guardato vecchie foto, ascoltato vecchie canzoni e ho pensato. Ho pensato tanto. Ho pensato tanto a me.

Ho pensato a chi e a come voglio essere nella vita, a come fare per diventare un po' il giusto mezzo tra quello che sono e chi vorrei essere. Ho realizzato che anche in squadra lavoro bene, io che ero solo per me stessa. Ho contato le persone sulle quali penso di poter fare affidamento e il numero è cresciuto dall'ultima volta. Ho pensato che se le sigarette non mi uccideranno, beh, di certo non mi faranno bene, ma ho ripreso a fumare lo stesso. Mi sono fatta raccontare un sacco di storie dai miei nonni, di come si sono conosciuti e innamorati, della loro infanzia, e ho pensato anche a quello. 

Ho pensato che anche se sono circondata da gente, a volte mi sento sola e vuota. E stupida, perchè so di non esserlo. Ho pensato che mi sono stancata di uscire con gente che per me non va bene. Ho pensato che tre ragazzi che mi chiedono di uscire e poi non si fanno sentire mai più, formino una casistica un po' troppo alta. Non è che è solo il resto del mondo stronzo, magari c'è qualcosa in me che allontana i papabili. Ho pensato già ai nomi da dare ai miei gatti o ai miei cani, in un lontano futuro. Ho pensato che trovare qualcuno con cui dividere la via non è scontato. 

Mi sono guardata dentro e ho visto che cose piccole di cui alla gente non importerebbe nulla, ecco, quelle cose mi lasciano ferite non indifferenti. Ho provato a rattopparne qualcuna, ma non sono mai stata brava a cucire. Mi sono limitata a vederle cicatrizzarsi, solo che ogni tanto mi muovo e qualcuna si riapre, sanguina un po'. Così posso passare venti minuti buoni a struggermi per quel ragazzino che a 12 anni non si volle mettere con me perché facevo "schifo ai cani". Robetta così.

Non sono fatta per la leggerezza. Non sono fatta per gli appuntamenti al buio con bidone. Non sono fatta per un sacco di cose. 

Ma questo non mi butterà giù. 
Una mia amica una volta mi ha detto che io sento le emozioni un po' più forti, nel bene e nel male. Tutti questi miei dolori, queste melanconie,sono il prezzo da pagare per la gioia folle e indisciplinata, per il perfezionismo nello studio e nel lavoro, per l'amore incondizionato che offro ai miei amici. 

Il prezzo mi sembra giusto.

Anche il mare ogni tanto è in tempesta, ma poi si placa.

martedì 12 agosto 2014

...

Certe mattine non dovrei aprire Facebook.  Oggi, dopo averlo fatto, mi rifiuterò anche di leggere i giornali.
Non so di preciso a che ora risalga la scomparsa di Robin Williams, so solo che lo sciacallaggio mediatico è già iniziato. Non voglio vederlo. A che vi serve sapere se si è suicidato, se era depresso. A che vi serve? "Era depresso, probabile suicidio", strillano i link. Il comico depresso. Un'associazione con la quale le ovvietà vanno a braccetto, perchè "sembrava sempre tanto allegro, faceva tanyo ridere, chi l'avrebbe mai detto". E l'assassino era un tanto caro ragazzo che salutava sempre.
Di Robin Williams la gente tende a dimenticare i ruoli drammatici, dove, effettivamente, non c'è niente da ridere.
Ma già li vedo, la caroca dei maturati al liceo che condividono le foto di Patch Adams, dicendo che li ha ispirati a diventare medico, momenti dell'Attimo Fuggente spalmati sulle bacheche.
"Se sei contro losciacallaggio, cosa scrivi a fare?".  Cosa scrivo a fare? È come in quella vignetta di Zero Calcare ( http://www.zerocalcare.it/2013/09/23/quando-muore-uno-famoso/) . La gente sciacalla, io mi imdigno, ma poi se capita a qualcuno dei miei idoli non so che fare.
Perchè Robbie Williams per me era un idolo. Dopo Patch Adams, nel cinema, appena accese le luci, il soldo di cacio che ero si arrampicò sulla poltrona e gridò, trionfante, a tutto il pubblico, "Così è mio padre!".
Nei pomeriggi video della mia infamzoa, quando i miei noleggiavano un film, se c'era Robin Williams,  io e sorella potevamo vederlo. Abbiamo visto anche i film drammatici, quelli non  adatti a noi. The final cut, uno su tutti, ancora nella lista dei miei film preferiti.
Ma non per questo intaserò la bacheca facebook. Il dolore e l'assenza trovo siano cose private.
Un ultimo ricordo...
Primavera della quinta elementare. Casa di un'amichetta, nel pomeriggio.
-Conosci ROBBIE Williams?
-Si, ho visto tutti i suoi film.
-Film? Io ho un suo disco.
- Fa anche il cantante? Figo.
-Non sapevo recitasse. Io lo trovo bellissimo.
-Ma è vecchio! Al massimo è simpatico.
Il giorno dopo tutta la classe sapeva che non mi piaceva Robbie Williams dei Take That, anzi che non lo conoscevo neanche, a favore di un vecchio attore per film disney. Fu la prima avvisaglia che non sarei mai stata una dei cool kids.
Al massimo sarei stata una strana che scompare per anni in un gioco da tavolo.
Una che salirebbe sui banchi per dimosrrare l'apprezzamento a un professore.
Una scienziata distratta che si dimentica della data del suo matrimonio.
Una il cui paradiso è un quadro dipinto dalla persona amata.
Una che osserva le vite delle persone, non giudica, ma riduce tutto a dimensione di film.
Una che dà fuoco alla cena.
Una un po' Robin Williams,  non Robbie Williams.
Il lutto si elabora in vari modi.
Questo è il mio. La rabbia verso il resto del mondo e tanta acidità.
Vostra,
Platypus

domenica 10 agosto 2014

Tutto a posto e niente in ordine

Mi sono ripresa da un rientro rocambolesco e adesso siamo tutti e 5 a casa, una mano di poker spaiatissima e potenzialmente esplosiva.
Sorella si è grandemente impegnata per prendersi una bella broncopolmonite, perchè se non te la prendi ad agosto non sei nessuno.
Padre e Madre sono in ferie e sublimano il loro amore cucinando e facendo la spesa. Ogni mattina allle 8.30 noi siamo già sotto l'ombrellone, neanche dovessimo timbrare il cartellino.
Nonna è folle di gioia, o semplicemente folle. Ogni giornosi sveglia e suona il gong, ovvero fa cadere la caffettiera smontata messa ad asciugare sul lavandino. Ogni giorno Padre arriva dal bagno per rimetterla a posto. Ogni giorno Nonna la prende sul personale.

Essendo più modesta di mia sorella, io ho deciso di sfoggiare solo una bella bronchite. L'effetto sanatorio o casa dellle Bronte sisters è assicurato. Deperite ma abbronzate, ogni giorno in spiaggia è una tortura. Il mare è cristallino, pulito, e noi diamo lì sedute, streghe da fiaba. Il male, però è all'esterno, o meglio ci circonda. Attorno a noi, distribuiti tra vari ombrelloni,  i figli prediletti di Satana urlano, si lamentano e meriterebbero un paio di ceffoni a testa. Anche Sorella, che di solito è benigna con gli infanti, comincia a dimostrare segni di squilibrio.

Ad aggiungere caos è arrivata la macchina nuova per Sorella, nonché la risoluzione dei miei genitori di farci riprendere a guidare. Ogni mattina io e Sorella ci rimpalliamo il ruolo da autista, perchè nessuna delle due vuole essere responsabile del primo graffio o bozzo sulla carrozzeria. Ogni mattina Nonna sale in auto con uno sguardo da martire cristiana nel Colosseo, sfodera il rosario  e la sua migliore espressione da ottovolante. L'unica cosa che le impedisce di baciare terra una volta arrivati è l'eventuale difficoltà a rialzarsi. E la palese difficoltà nel trovare un passaggio al ritorno.

Mentre scrivo, invece, la follia della famiglia non conosce freni e si dedicano alla produzione casalinga di marmellata di prugne. Padre,  Madre e Sorella si affaccendano attorno a un pentolone, che a confronto le tre streghe del Macbeth sono dilettanti.

Mi guardano e sto capendo una cosa:un qualche compito mi sta per piombare tra capo e collo. Ho paura.

Vostra e sciagattante,
Platypus

mercoledì 6 agosto 2014

Dopo Cruccolandia, col furgone

Dovrete perdonarmi la lunga assenza, ma la Grande Germania mi reclamava, insieme al mio impegno con gli ingegneri. Ora, contate un campeggio di ingegneri da tutte le parti del mondo, rapporto uomini donne 4 a 1, aggiungete la mia passione per gli adoni alti e biondi, ed ecco che si ottiene una settimana particolare.

Nel nostro team erVamo in 4 donne a dover sfamare 30 uomini bellicosi, ruttanti e affamati. Negli altri team la situazione era la stessa. Vicini di campeggio due team tedeschi, che, al modico prezzo di un caffe e di una mezza teglia di pasta avanzata, hanno cominciato a rifornirci di birra. Tanta.
Ottimo assett in unpaese dove l'acqua è ofrizzantissima o aromatizzata. A questo punto meglio bere.

Unico errore tattico nell'installare il campo:la vicinanza del campo alle giostre dei bimbi e alla loro pavimentazione in sabbia. Più di una volta ci siamo dovute affidare al linguaggio del corpo, ovvero a occhiateminacciose, brandendo pentole e padelle. Funzionava.

L'evento è stato molto divertente ancheer chi non ne capisce niente come me. Ci sono stati malumori, incomprensioni e drammi, come in tutte le occasioni in cui forzi qualcuno a vivere assieme per una settimana. Ho avuto momenti di disperazione vedendo insetti nella mia tenda, ma alle 3 di notte non  puoi urlare, anche se gli altri team giocano a beer flunk. Ho lavato tanti piatti.

Mi sono innamorata una ventina di volte.

Gli americani e i tedeschi avranno anche la fissa del calzino bianco, ma unacosa la sanno fare:organizzare after party degni di questo nome. L'ultima sera le cronache narrano che io twerkassi con unamericano vestito solo di short di jeans, contendendomi con lui dei bastoncini fosforescenti.

E poi il ritorno, con risultati che potevano essere migliorati e che miglioreremo. Viaggiare di notte, in pulmino, avvolti da un odore di patati e alla cipolla, con ruttinon silenziati, e parlare al guidatore per non farlo addormentare.

Sarà strano, ma quel pulmino puzzolente  che viaggia in Val Gardena, con tuoni e fulmini, mentre parlo a bassa voce per non svegliare chi dorme, me lo conservo tra i ricordi più belli.

Il resto è storia, fatta da biondomi americani, tedeschi, olandesi e australiani.

Vostra e sciagattante, in un mare dibirra,
Platypus

giovedì 24 luglio 2014

Surreality Platypus

Dopo il reality devo ammettere che la vita in casa mia ha anche delle insospettabili somiglianze con i filmini surrealisti che Magritte e gli amici giravano nel salotto di casa. Tutti ridevano e si divertivano dannatamente, anche se ci capivano poco.

Vorrei poter dire che la colpa è da attribuire a fattori esterni, quali le pesche che ho fatto ammuffire chiudendo male il frigorifero ("Sembra che non abiti in questa casa!" "Beh, tecnicamente...") o la famosa al killer alla quale io e la mia famiglia siamo misteriosamente immuni.

Mi chiedevo del perché di tutto questo mentre giravo per la città con i denti di mia nonna in borsa, novella Edgar Allan Poe con la sua Berenice. Per fortuna il dentista era nello studio e ha potuto ripararle la dentiera, ma vi assicuro che sentire i propri passi accompagnati da un sinistro clac-clac non fa un gran bene.

Come non fa un gran bene lavorare da casa.
Mentre ero al telefono con la redazione di una rivista, mi sento picchiettare sulla testa. Il cordless incuneato tra collo e spalla, mani sulla tastiera, voce flautata e professionale, compio sforzi erculei per girarmi. Nonna mi guarda, un'espressione interrogativa.
E poi, urla.
-Con la zia stai al telefono?
Vivaci e oltremodo attivi cenni di diniego con il capo e tutto il busto.
-allora, devi dire alla zia...
Segue una lunga lista di messaggi urlata. L'unica soluzione è alzarmi dalla scrivania e cercare di fuggire dall'onda sonora. Approdo in cucina, nonna e le sue litanie alle calcagna, la segretaria di redazione che continua a discettare.

Arrivo alla disperazione, mi rivolgo alla segretaria:
-Mi scuserebbe un attimino?
-Certo.

Mi giro verso mia Nonna. Grido.
-Nonna, nan jè la zzì! [Nonna, non sono al telefono con la tua prole].
-Aaaah.

Silenzio in cucina. Silenzio dall'altro capo della cornetta.
Un sorriso nella voce, afferro saldamente la cornetta:
-Dicevamo?

Vostra e sciagattante,

Platypus
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