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martedì 3 dicembre 2013

Libri che mi hanno cambiato la vita: L'inventore di sogni, McEwan

Quando ero bambina il mio gioco preferito è sempre stato il "facciamo che". Facciamo che io ero la bambina più veloce del mondo e tu dovevi catturarmi e poi tu dicevi, tu facevi... essendo abbastanza prepotente, dopo un po' mia sorella mi abbandonava per giochi più tranquilli e meno fantasticamente sfrenati. Io da brava sorella minore la seguivo.  Il problema era che mi annoiavo con una facilità preoccupante. 
E allora ho cominciato a giocare al "facciamo che" da sola, nella mia testa. Il gioco mi è costato una vita di rimproveri a scuola perché ero disattenta, pranzi e cene con colpetti tra le scapole "raddrizza la schiena e non guardare il vuoto", ritardi cosmici a molti appuntamenti e il non avere la più pallida idea di ciò che i miei interlocutori mi dicono, clacsonate epiche quando attraversavo dimenticandomi di controllare il semaforo. 
Crescendo le mie reverie sono cambiate, adeguandosi più o meno all'età. 
Il problema è che io mi sentivo (e mi sento) giustificata in questi sogni ad occhi aperti. La colpa è di Ian McEwan e de "L'inventore dei Sogni".
Nella mia ferrea logica da bambina, se uno scrittore aveva dedicato un libro alle fantasticherie di un bambino, io ero più che giustificata a starmene ore a fantasticare. Di solito le ore che sarebbero dovute coincidere con lo studio. Ma questo non è rilevante.
 C'è da dire che il libro mi aveva conquistato già dalla copertina. Un ragazzo, con la testa da gatto. Io adoro i gatti, li ho sempre adorati. Anche quando non ero in grado di leggere da sola, mi passavo questo libro tra le mani, fissando la copertina. Era uno di quei libri che non ho capito mai bene come ci siamo ritrovati in casa, uno di quelli che girano di libreria in libreria, dei quali ti dimentichi per anni, per poi trovartelo tra le mani durante le pulizie di primavera. Ma questa copertina è tra le poche che non ho mai dimenticato veramente e che ho scoperto non essere scolpita solo nel mio immaginario.

"Maestro, non è colpa mia se sono distratta!
Sono Peter e Ian!"

-C., ti ricordi il libro "L'inventore di Sogni"?
-Si, Platypus, me lo ricordo.
-Io lo adoravo.
-Io no, La copertina mi inquietava come poche cose nella vita.
-Io la trovavo meravigliosa...
-Platypus, tu l'altra sera ti sei commossa perché mentre fumavi in cortile un gatto ti si è strusciato sulle gambe e poi se n'è andato. Quando sono coinvolti i gatti non sei obiettiva.
Ritengo doveroso aggiungere, però, che 1.C. è più una persona da cani e non ha l'animo da gattara della sottoscritta (che però non ha mai posseduto un gatto. Ma vabbè), 2.l'episodio del gatto è vero ed è stato l'highlight della mia giornata.

Ancora oggi gioco al facciamo che. Lo faccio più o meno ventiquattr'ore su ventiquattro, ogni scusa è buona. L'altro giorno, per esempio, dato che l'autobus non passava, ho pensato bene di farmi il tratto di strada a piedi. Che sarà mai con un freddo polare ed un vento tagliente?
Cammina, che ti cammina, davanti a me c'è un'altra ragazza. Ogni tanto si gira, mi guarda, si rigira ed accelera il passo. Io cammino. E poi il giochino inizia. 

Facciamo che questa ragazza è una seguita, che sta scappando, perché la seguono. Adesso finge di girarsi per controllare se stia arrivando l'autobus, ma in realtà mi controlla, si chiede se io possa essere in incognito. Facciamo che adesso arriva una macchina e comincia a seguirla, rallentando. E che contemporaneamente arrivi l'autobus. La ragazza corre verso la fermata, io le sto alle calcagna e faccio, che so, uno sgambetto all'inseguitore che nel frattempo ci ha seguito. Facc...

L'autobus è arrivato. La ragazza è salita. Io non ho avuto la prontezza di riflessi di correre verso la fermata. Ho perso l'autobus. Ho ripreso a camminare. Ho bestemmiato mentalmente in aramaico stretto, scadendo un attimino nel babilonese e, perché no, nel cipriota con un simpatico accento belga.
Mi son detta che la devo finire con questo gioco. Sono stata brava a smetterlo all'università e quando ho fatto la stage, ma mi sa che la regola del "qui non si gioca" va estesa ai tragitti a piedi. 

Facciamo che non gioco più per strada e che...

Vostra e sciagattante

Platypus

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