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martedì 3 dicembre 2013

Muti spiega l'Ernani (e mi emoziona non poco)

Non sono una grande esperta. Di niente. Il mio è un dilettantismo ed un generico piacere dovuto al farmi spiegare le cose da chi ne sa più di me. Si tratta di un passatempo che trovo molto appagante. La gente parla, io sto lì come una spugna ed assorbo (spero). 
Ci sono cose che mi affascinano più di altre, ovviamente. Per esempio l'opera. E chi  meglio di Riccardo Muti poteva spiegarmi qualcosa a tal proposito?

Poi è iniziata la lezione. Quando abbiamo prenotato i biglietti per la sua lezione sull'Ernani di Verdi, la mia prima preoccupazione (da eroina ottocentesca mancata) è stata sulla toelettada sfoggiare. Poi ho razionalizzato. Per carità, ci ho comunque messo una vita a decidere come vestirmi, ma una volta arrivata a Teatro mi sono lasciata prendere dalla magia. Nonostante io abiti a Roma da quattro anni, nonostante ogni anno io dica "Questa è la volta buona", non ero mai stata all'Opera. E una cosa è sicura: non ci tornerò mai più in platea nelle prime file come eri. Era tutto dorato, tutto sfavillante, tutto... wow.
C'è da dire che avevo il terrore di non capirci nulla. La mia crassa ignoranza prendeva un tè con i miei sensi di colpa per "tutte le cose delle quali vorresti sapere qualcosa, ma per quali sei troppo pigra per impegnarti". In realtà penso brindassero a champagne. Ma a rassicurarmi ci ha pensato lui, il Maestro.
"Mi piace vedere il teatro pieno, pieno di giovani. E anche se non siete esperti di musica, va bene. Diffidate degli esperti, che in queste serate sono tutti vestiti di nero e strisciano lungo i muri. Spesso chi non conosce si arrende di più all'emozione, si abbandona alla musica con più trasporto di chi ha competenze tecniche Lo dice anche Dante nel Paradiso". Il tutto detto con questo accento, sfumato di pugliese, campano e lievissimo, ma proprio lieve milanese. Un accento che sapeva di casa. 

Verdi era umano, non ingessato come potremmo considerarlo. Muti ci ha letto qualche sua lettera al Piave, nel quale gli si rivolge affettuosamente con l'appellativo "Mona". Roba che quando lo spiegano alle medie sembra che Verdi le parolacce non le conoscesse neanche. E invece, in un'altra lettera "La Traviata è una puttana e da tale si deve comportare". Il che ci porta al punto successivo, il problema della corretta esecuzione delle sue opere. Il Maestro ci ha spiegato il suo punto di vista: le opere vanno realizzate come il compositore le ha pensate. Certamente,è impossibile riproporle esattamente come sono state riproposte le prime volte, il rigore filologico non può riportare indietro un'aria, un modo di intendere l'opera identico a duecento anni fa. Però bisogna fare il possibile per rispettare le volontà del compositore. Da studentessa di letteratura credo sia uno dei discorsi con i quali ho simpatizzato di più. Non quello che mi ha affascinato di più, ben inteso.
Il momento in cui mi sono sentita, veramente rapita, è stata la spiegazione del Preludio. Nel Preludio delle opere verdiane è già contenuta in nuce tutta la vicenda: l'odio, la vendetta, l'amore. La struttura poi è sempre lineare e circolare. 
Non si sfugge al destino e non si sfugge alle note. [Lo so, il Maestro l'ha spiegata molto meglio di me, ma perdonatemi, non pretendo di ergermi al suo stesso livello].

Da come ne ho parlato fin'ora sembra tutto molto compito, molto ingessato. Invece no, non sono mancati i momenti comici, momenti in cui Muti ci ha fatto ridere di cuore. E non risate crasse ed ignoranti, ma belle risate, risate di cervello, cosa che ormai pochi in Italia sanno far fare. Ho trovato memorabile la ricostruzione del canto del Va pensiero come inno prima di una partita di calcio. O le differenze tra il pubblico d'opera, tra wagneristi, verdisti e gente che fa solo bella presenza. 
Io ascoltavo, assorbivo, mi bevo del pianoforte e delle parole. Più sentivo parlare Muti e più mi ricordava una mia amica, professoressa di liceo ormai in pensione. Mi chiedevo se fosse l'accento, se fossero i micro riferimenti alla Puglia disseminati qua e là. Sarà la sindrome del migrante che ancora non mi abbandona. Le pause, gli accenti, mi sembravano uguali. Certo, gli argomenti erano diversi, letteratura greca e latina e l'opera, eppure...

Ci sono arrivata solo stamattina, mentre mi svegliamo: era la passione che me li faceva sovrapporre. Penso sia ciò che ha dato alle loro voci quella profondità e quegli accenti che danno i brividi a saperli ascoltare. Per le passioni come queste io provo un rispetto enorme. Se si è in grado di dedicare la propria vita ad una passione simile, si è raggiunto un altro livello dell'esistenza.



Quando ho espresso il concetto ad una mia conoscente, lei mi ha guardato.
-Ma Muti...
-Si? 
- Muti, no cioè, voglio dire... non è quello del Thè Infrè?
-Fingerò di non aver sentito e non verificherò questa informazione.



Prima o poi la finirò con questo ottovolante tra sublime e prosaico. Che almeno la discesa sia meno traumatica.

Vostra e sciagattante, 
Platypus


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